Recensione: “Buone ragioni per restare in vita” di Anna Savini
Quando, un anno e mezzo fa, mi hanno detto che la pallina strana che sentivo al petto era un tumore, mi è venuto un colpo. Mi sono vista morta di lì a poco e, all’improvviso, mi sono accorta che non avevo abbastanza cose da ricordare. Ammalarmi di tumore non era nella lista delle mie priorità, essere chemioterapizzata neppure. Così, all’inizio, non avevo voglia di curarmi, non mi sentivo abbastanza coraggiosa. Del resto, era proprio per la paura di quello che avrei potuto trovare che non avevo mai fatto prevenzione. Ma non è che se non lo cerchi, il tumore non arriva. A me è successo esattamente il contrario. Adesso ce l’avevo, anche bello grande. Dovevo curarmi, non c’erano alternative. Allora ho deciso che avrei affrontato la chemio come se fosse un lavoro. La facevo e poi pensavo ad altro. Per esempio, alle belle vite delle mie amiche immaginarie, che girano il mondo sempre sorridenti. A dir la verità, sorridevano anche le malate che incontravo in ospedale. Perfino le bambine malate vedono il tumore come un drago e la chemio come il principe che ti salva. Io no. Io piangevo in continuazione. Vedevo solo draghi ovunque. Poi mi sono abituata, come succede sempre nella vita; sono arrivata alla fine e ho sconfitto il drago. Quindi posso dirlo: se ce l’ho fatta io, ce la possono davvero fare tutti. Certo, l’obiettivo resta quello di non ammalarsi. Ma trovare le ragioni per cui vale la pena vivere è, senza dubbio, un’ottima cura. Quindi, appena ho terminato la chemio sono andata in questura a rifare il passaporto scaduto. Volevo partire per Hollywood subito dopo l’intervento. E lì ho incontrato una collega che aveva avuto un tumore al seno prima di me. Aveva una criniera di capelli che sembrava Mafalda e voleva andarsene in Giappone a vedere i ciliegi in fiore. Ci è andata. Io ho il passaporto nuovo con una foto orrenda e non sono ancora andata da nessuna parte. Questo libro insegna a non fare come me.
Libro autobiografico, ironico e divertente a discapito dell’argomento trattato; l’autrice, infatti, scopre di avere un tumore al seno, ma ammette pubblicamente e con decisione di non volerlo (e chi lo vorrebbe, del resto?). Lei voleva una borsa di Gucci!
Quanto a me è troppo tardi. Ho un tumore anche se ho fatto di tutto per non scoprirlo. Il tumore è come il Natale, quando arriva arriva, solo che non fa felice proprio nessuno. Soprattutto me.
E così, eccoci ad andare su e giù per ospedali insieme ad Anna, giornalista quarantacinquenne, ad aspettare seduti in sale d’attesa che arrivi il nostro turno per le analisi, a correre da un posto all’altro per recuperare i referti e arrivare in tempo agli appuntamenti, ad agonizzare in un letto aspettando che passi l’effetto della chemio; il tutto con un sorriso, perché Anna ci descrive il suo calvario in modo ironico, facendoci dimenticare che si parla di una storia vera.
Questo libro è stato un’autentica sorpresa. Anna Savini, giornalista italiana, ci racconta di come ha scoperto di avere un tumore al seno e come lo ha affrontato. Soprattutto, si sofferma sui pensieri che l’hanno accompagnata durante la cura, argomento che solo chi c’è passato può conoscere davvero. Questo libro lo definirei “bipolare”: se, da una parte, abbiamo un racconto ironico e divertente a discapito dell’argomento trattato, dall’altra traspare invece tutta l’amarezza e la disperazione di chi si trova a lottare per la propria vita.
Mi ha conquistato da subito il suo modo di aggrapparsi alla moda e ai VIP (tanto da creare amicizie fittizie), per riuscire a deviare i pensieri dal problema reale; allo stesso tempo, passata la fase iniziale di approccio, affiora tra le note ironiche la paura e il rimpianto e, soprattutto, la Savini sottolinea il fatto che non è il tumore che uccide, ma le cure che servono a eliminarlo, che poi era la parte che la spaventava di più, il vero motivo per cui, nonostante vari casi in famiglia, non avesse fatto prevenzione.
Sono malata, non sono stupida. Lo so che, magari, guarirò. Non sono preoccupata di morire. Sono preoccupata di quel che mi succederà mentre tenteranno di guarirmi.
Poiché questo è un aspetto che viene spesso sottovalutato (solo chi c’è dentro riesce a evidenziarlo con efficacia), credo di poter definire questo libro “un’incitazione” a prevenire, a non mettere la testa sotto la sabbia, perché poi diventa troppo tardi. E Anna lo sa bene, perché questo libro, scritto per raccontare la propria esperienza, è proprio come dice lei “un invito a non fare come me” che ha cercato di far finta di niente, ma il tumore l’ha trovata lo stesso.
Molto bello il modo in cui è scritto, diviso in tanti piccoli capitoli, ognuno un pensiero, in cui Anna non fa una figura eccellente (a volte viene da chiederci se è stupida, però lei stessa si definisce un’oca), ma riesce a mettere a nudo tutti i meccanismi che scattano in un individuo quando deve affrontare una situazione importante. Bella l’idea di fondo: l’autrice cerca di fare il punto della sua vita e mettere nero su bianco i suoi ricordi, così da poterli lasciare a chi verrà dopo di lei.
Mi ripeto, un’autentica sorpresa, che parla di un argomento importante ma aiuta ad affrontarlo con un sorriso e, benché la lettura possa sembrare leggera, si arriva in fondo al libro con la sensazione di aver imparato un’importante lezione di vita.
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