Recensione: “Baby don’t cry” di Paola Garbarino
Lui non mi aveva mai fatto male. A parte la prima volta, per parecchi secondi per me interminabili ma non l’aveva fatto apposta. E a parte nel mio cuore e lì l’aveva fatto apposta.
Ogni cosa mi faceva pensare a lui, perché Milo era dappertutto.
Ed era dappertutto perché era dentro di me.
Milo e Petra si conoscono dalle elementari e adesso stanno per laurearsi. Da anni sono amici con benefici, trascorrono momenti infuocati nel privato ma quasi si ignorano appena messo piede fuori dal letto. Come sono arrivati a questo punto?
Si può crescere con l’idea del principe azzurro e del lieto fine e non soccombere alla realtà delle relazioni moderne?
Questa è la storia di un piccolo grande amore, come ce ne sono tanti in ogni angolo del mondo, come molti che avrete visto fiorire tra i banchi di scuola, forse capitato a voi stessi. La storia di due ragazzi che il Destino decide di far incontrare, un ragazzo e una ragazza che si conoscono da bambini e crescono insieme, due anime che passano attraverso quell’esperienza straordinaria che è l’adolescenza, il diventare adulti, perdere le illusioni infantili cercando al tempo stesso di non lasciar scivolare via i sogni.
La storia d’amore tra Petra e Milo inizia in quinta elementare, quando, dopo appena il primo sguardo, lei sente scoppiare dentro di sé un’emozione tanto intensa da risultare incontenibile. Un attimo prima di vomitargli sulle scarpe. Da allora inizia per entrambi un lungo cammino in cui muovono ciascuno i propri passi su strade parallele, incontrandosi in attimi rari e preziosi, rischiando talvolta di allontanarsi e perdersi. Fino a quando arriva un momento in cui si illudono di poter soddisfare il bisogno che hanno l’uno dell’altra, quando basta un solo sguardo perché il cuore acceleri, quando il desiderio della carne diventa vivo e reale e l’esigenza di diventare grandi prevarica l’età, le regole e la razionalità, unendoli per sempre nel ricordo di ciò che segnerà le loro vite: la perdita dell’innocenza, il passo definitivo verso la vita adulta.
Purtroppo però il destino non rende mai le cose facili e, a causa di equivoci, invidie, fughe e silenzi, rischieranno di rompere il filo che li unisce e che fa di loro le due parti della stessa realtà.
La storia di Milo e Petra è tormentata, intensa, struggente. Il loro amore è ostinato, pulsante, disperato, come quello dei cuori acerbi, non più bambini ma non ancora adulti. Entrambi attraversano fianco a fianco gli anni della purezza, dell’amicizia vera, dei piccoli drammi esistenziali, senza però riuscire a toccarsi davvero, per lungo tempo. Quello che li tiene vicini, e che impedisce loro di perdersi, è il sentimento profondo che li lega. Fino al momento in cui si illudono di aver realizzato il loro più grande desiderio: ritrovarsi, unirsi, condividere se stessi, donarsi il cuore. Alla fine, però, è proprio quel sentimento la causa del loro tormento, il motivo per il quale scelgono di farsi del male per non sentire un altro tipo di dolore, molto più intenso e devastante.
Ma la sofferenza della rottura è tanto più lacerante, quanto più grande è la delusione che infrange la speranza. Quanto più i sogni sono meravigliosi, tanto più forte è il dolore di averli persi. Cosa può succedere se si è costretti a vivere senza una parte di sé? Forse si può solo sopravvivere, senza luce negli occhi e senza più illusioni.
Questo romanzo mi è piaciuto, mi ha fatto rivivere in qualche modo i ricordi di un passato lontano, a tratti mi ha addirittura commossa. Nonostante tutto la mia valutazione non ha raggiunto le quattro stelle: la narrazione risulta prolissa, con molti punti ripetitivi che tendono a stancare e la rendono lenta, soprattutto quando Petra riflette sugli eventi del passato e racconta il sentimento che la lega a Milo. Inoltre lo stile è stato, a mio avviso, l’elemento più penalizzante. La prosa è scorrevole ma troppo elementare. Con uno stile più curato, non infarcito di espressioni dialettali o colloquiali, meno dispersivo e più incisivo, questo romanzo avrebbe potuto essere una poesia, che avrebbe esaltato ancor di più la profondità della perdita, del disincanto e infine la meraviglia dell’amore ritrovato.
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