Recensione: “Souvenir per i Bastardi di Pizzofalcone” di Maurizio De Giovanni
A ottobre il tempo è ancora indeciso. Un giorno fa caldo, quello dopo il freddo e l’umidità ridestano la gente dall’illusione di una vacanza perenne e la riportano alla realtà. Anche il crimine, però, si risveglia. Un uomo viene trovato in un cantiere della metropolitana privo di documenti e di cellulare; qualcuno lo ha aggredito e percosso con violenza. Trasportato in ospedale, entra in coma senza che nessuno sia riuscito a parlargli. Di far luce sull’episodio sono incaricati i Bastardi, che identificano la vittima: è un americano in villeggiatura a Sorrento con la sorella e la madre, un’ex diva di Hollywood ora affetta da Alzheimer. Recandosi a più riprese nella cittadina del golfo, vestita fuori stagione di un fascino malinconico, i poliziotti si convincono che la chiave del caso sia da ricercare in fatti accaduti là molti anni prima. Incrociando il presente con un passato che hanno conosciuto solo al cinema, i poliziotti di Pizzofalcone, ciascuno sempre alle prese con le proprie vicende personali, porteranno alla luce un segreto custodito con cura per cinquant’anni, una storia d’amore e di sacrificio indimenticabile come un vecchio film.
È una storia di ottobre quella che De Giovanni racconta in questo nuovo capitolo dei Bastardi di Pizzofalcone. Ottobre è il cambiamento, la transizione, quel momento che conserva il ricordo dell’estate e porta la promessa dell’inverno, ma è anche l’ostinato legame con il passato e il rimpianto di non averlo mai vissuto davvero.
Nell’atmosfera di un ottobre piovoso, i membri del commissariato più improbabile di Napoli lavorano, come sempre con sintonia e rapidità, per risolvere il tentato omicidio di Ethan Wood, turista americano in visita in Italia con la famiglia, trovato agonizzante, dopo un pestaggio spietato, in un cantiere della metropolitana.
Sullo scenario di una Napoli accennata, ma sempre presente, l’indagine dei Bastardi prende vita attraverso mille diramazioni che porteranno alla scoperta di sorprendenti risvolti, un gioco di scatole cinesi in cui compaiono a ogni pagina nuove vicende e nuovi personaggi.
Dalla madre della vittima, Charlotte Wood, celebre e bellissima ex attrice, intrappolata nel mondo dei suoi ricordi a causa di una inesorabile malattia, parte un cammino che si inoltra in un passato lontano, fatto d’amore, rinunce e malinconia durati quarant’anni. Fino ad arrivare al presente, in cui due vite devono essere custodite e salvate: quella di una giovane madre e del suo bambino non ancora nato.
Ai risvolti polizieschi e alle intuizioni investigative si intrecciano le vicende personali dei membri del commissariato di Pizzofalcone, in maniera tanto imprescindibile ed essenziale da diventare parte necessaria del romanzo. Grazie ai tormenti, ai fallimenti, alle speranze dei personaggi, tutti recitano la propria parte nell’indagine come una compagnia di attori sul palcoscenico.
Ogni Bastardo porta con sé il suo souvenir: il rapporto tormentato dell’agente Alex Di Nardo con il proprio padre; il conflitto di Francesco Romano, diviso tra la tenerezza e il desiderio di paternità e la necessità di salvare il suo matrimonio; la sofferenza del sostituto commissario Pisanelli; i sentimenti inquieti dell’ispettore Lojacono; il soave gioco di parole non dette tra la vice sovrintendente Ottavia Calabrese e il commissario Luigi Palma; l’assurdità dell’agente scelto Marco Aragona che decide sorprendentemente delle sorti dell’indagine con un’intuizione clamorosa.
A dispetto delle molte critiche mosse all’autore sulla caratteristica del romanzo, che dicono appaia di un giallo sempre più sbiadito per lasciare posto al rosa delle vicende personali, ritengo che siano assolutamente tali vicende ad arricchire l’aspetto umano della narrazione, rendendola più realistica e coinvolgente. Ogni personaggio porta il proprio bagaglio di vita, fatto di delusioni e rivelazioni, partecipando così all’aspetto puramente investigativo in maniera unica e determinante, fino ad arrivare al cliffhanger che chiude l’ultimo capitolo, tenendo viva l’aspettativa del seguito.
Il tutto raccontato con lo stile inconfondibile dell’autore: vivido e poetico nelle descrizioni, essenziale e teatrale nella rappresentazione dei personaggi.
A tale proposito non ho dubbi: per quanto mi riguarda, De Giovanni ha compiuto un’altra magia.
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