Recensione: “Taboo” di Ava Lohan
Mi chiamo Joseph Blane. Sono un mormone. Sono vergine. Ho il controllo totale sui miei impulsi sessuali e obbedisco alla Legge di Castità. Nessuna donna è in grado di farmi cedere. Tranne Judith.
Per lei provo un’infinità di cose sbagliate. E quando si presenta al mio stesso campus universitario il mio autocontrollo vacilla.
Per lei ho smesso di combattere. Per lei ho ripreso e adesso sono Sinner, il lottatore più acclamato nei combattimenti clandestini dell’Arena. L’idolo che le donne desiderano nel loro letto. Ma è per Judith che io distruggo i miei avversari dentro la gabbia e lotto contro me stesso e ciò che voglio. Lei.
Judith mi tenta.
Mi provoca.
Siamo lei e io. In una città in cui nessuno sa chi o cosa siamo l’uno per l’altra.
Judith si stabilisce nel mio appartamento e io non devo cadere nella lussuria.
Violare la Legge di Castità è un peccato estremamente grave.
E io non devo farlo.
Ma soprattutto: non devo farlo con lei.
Lasciarsi coinvolgere con la mente e con i sensi da un romanzo di più di 600 pagine, per una persona come me, che solitamente evita le letture troppo lunghe come se fossero la peste bubbonica, rappresenta un’eccezione alla regola di notevole spessore.
Perché Ava Lohan ha l’abilità magistrale di rendere eccitante, soffocante e allo stesso tempo liberatoria, una condizione altrimenti considerata immorale e assolutamente deprecabile. Come la violazione di importanti princìpi dettati da una rigida dottrina religiosa.
E lo fa con quel suo modo di scrivere elegante ed estremamente particolareggiato – soprattutto per quanto concerne le tradizioni e le usanze dei mormoni – uno stile che sa diventare crudo, schietto e impertinente quando vuole obbligarti a vivere sulla tua pelle tutte le emozioni intense dei suoi protagonisti.
Joseph e Judith.
Un ragazzo tremendamente devoto alla sua religione e una ragazza che, purtroppo, ha perso completamente la sua fede in Dio. Entrambi cresciuti in una famiglia intransigente e ancorata alla rigida dottrina mormonica di Salt Lake City.
L’attrazione indecente inizia quando sono adolescenti e viene amplificata dalle lusinghe di quella piccola e sensuale istigatrice di Judith.
Seguiranno il tradimento, lo scandalo riprovevole e, infine, una dolorosa separazione che durerà ben quattro anni, almeno fino a quando Judith non metterà piede nello stesso college che Joseph ha iniziato a frequentare da poco tempo come matricola.
Se da un lato Joseph è rimasto un ragazzo timorato di Dio e dedito al voto di castità – pur continuando a essere logorato nell’anima dall’ossessione che prova per l’unica fanciulla che non dovrebbe mai desiderare – dall’altro abbiamo una Judith ben diversa, una ragazza che ha perduto la retta via a causa di sporchi compromessi che l’hanno resa molto più cinica e disillusa dalla vita, fin troppo propensa a usare il proprio corpo come un mezzo per raggiungere un fine o per espiare le proprie colpe. Ma Judith non ha perduto tutto quello in cui credeva. Perché Judith resta ancora aggrappata, con le unghie e con i denti, all’amore ingiusto e innaturale che prova nei confronti di chi non dovrebbe.
E così, tra lezioni universitarie, feste studentesche, potenti gelosie e sfacciate provocazioni – da parte di quella che ormai è diventata a tutti gli effetti una Eva tentatrice ben più esperta di quanto non lo fosse in passato – i propositi puri di Joseph andranno letteralmente a farsi benedire. Nonostante lui tenti in ogni modo di sfogare il suo desiderio represso e malato con la violenza dei combattimenti clandestini in cui si cimenterà all’interno dell’arena.
Quella di Joseph è un’anima tormentata e dolorosamente divisa in due.
Due.
Come il colore dei suoi occhi.
Come la dicotomia tra Paradiso e Inferno…
… tra luce e tenebra…
… tra fede e peccato…
Ed eccoci arrivati al peccato… il protagonista indiscusso dell’intera storia. Perché, dopo aver rivisto Judith, l’ago della bilancia emotiva di Joseph inizia a oscillare pericolosamente… piano, molto piano… e poi si inclina sempre di più, fino a toccare l’abisso della ragione e il baratro della decenza.
«Voglio farti una domanda.»
E dal modo in cui mi osserva giurerei che mi stia mettendo alla prova.
«Cosa succede quando un bravo ragazzo cerca di salvare una cattiva ragazza?»
«Lei smette di essere cattiva.»
«No. Lui diventa più cattivo. Sei pronto a diventare cattivo?»
La resa del “bravo ragazzo” sarà tanto disperata quanto catartica, tanto dolce quanto eccitante. Perché Judith è l’unica in grado di spezzare le catene che lo imprigionano, di renderlo libero facendogli ritrovare se stesso e di impedirgli di trasformarsi in un burattino manovrato dalla rigida dottrina mormonica.
E tutto questo avverrà per merito di interazioni dotate di una carica erotica senza precedenti.
Sarò sincera, ho amato Joseph molto più di quanto io abbia apprezzato Judith, perché all’inizio ho stentato ad accettare alcuni suoi atteggiamenti sprezzanti e fin troppo provocatori. Mi sono dovuta ricredere su di lei, perché l’apparenza spesso inganna. E perché alla base di ogni suo comportamento malato o esagerato c’è sempre stata una spiegazione che aspettava solo di palesarsi ai nostri occhi.
Fino alla fine ho sperato con tutta me stessa in un colpo di scena, in un risvolto che mi permettesse di osservare l’intera storia sotto una luce completamente diversa.
E grazie a Dio, quell’evoluzione c’è stata davvero. Ava Lohan ha ribaltato le carte in tavola e ci ha regalato un epilogo giusto e meritato, la degna conclusione di un romanzo che ci insegna a inseguire i nostri sogni e a lottare per loro anche quando realizzarli sembra maledettamente impossibile.
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