Recensione: “Un uomo al timone” di Nina Stibbe
Non è facile essere una madre divorziata nell’Inghilterra del 1970. Quando un’eccentrica drammaturga mancata, con una certa inclinazione per le sregolatezze, si trasferisce dalla città in un villaggio insieme ai tre figli, al cane e ad alcuni pony, la minuscola comunità locale accoglie il loro arrivo con un misto sconcertante di ostilità e sospetto che li sospinge ai margini di qualunque evento. Lizzie, la voce narrante, mette subito a fuoco il problema, complice la savia sorella maggiore: per essere credibili, i Vogel hanno bisogno di un capofamiglia, di un nuovo uomo al timone. Le due ragazzine stilano così una lista dei partiti più appetibili della zona e si adoperano per attirarli a casa loro, uno alla volta, e offrirli in pasto alla bellissima, imprevedibile madre. Chi scegliere tra il pragmatico dottor Kaufmann e il reverendo Derek, il ”piccolo vicario idiota”? Forse meglio puntare su Mr Longlady. Tra amicizie tentate ed evaporate, truffe, piccoli drammi quotidiani e guai seri, mentre Piccolo Jack, il fratellino minore, patisce più di tutti l’isolamento forzato e lo manifesta in modo vistoso, l’impresa guidata da Lizzie sembra destinata al fallimento. Ma forse l’uomo giusto non è sulla lista, e per trovarlo bisognerà imparare a guardare meglio, o semplicemente un po’ più in là. Disarmante onestà, umorismo inglese e disincanto per una commedia sulla difficile arte di crescere tra adulti che non si comportano come tali.
Titolo originale: ”Man at the Helm” (2014).
“Se una donna resta sola, soprattutto se è divorziata, senza un uomo al timone, tutti gli amici, i parenti e i conoscenti scappano.”
“Davvero?” ho detto.
“Si, finché non c’è un altro uomo al timone”.
“E allora?” ho chiesto io.
“Allora, quando c’è un nuovo uomo al timone, la donna viene riammessa nel mondo”.
Triste verità quella che traspare dalle parole di Lizzie Vogel, voce narrante della storia, ma purtroppo assai esaustiva. Quando la mamma, figlia di ricchi borghesi, divorzia dal marito, è subito scandalo e conseguente allontanamento dalla buona società. La famigliola, che di triste e consuetudinario non ha proprio nulla, composta da mamma, due figlie, un piccolo e ingenuo fratellino e la cagnolina Debbie, finisce isolata in un villaggio in periferia. È la morte sociale, anche perché una madre single agiata negli anni ’70 non è esattamente alla moda. Le figlie, per nulla turbate dall’assenza del padre, ma timorose di finire in orfanotrofio, si alleano nella ricerca di un partito per la loro giovane e aitante madre, se poi l’uomo in questione è sposato amen, tanto, basta che ci sia un uomo al timone. È l’inizio di una storia brillante, spassosa e autoironica, tipica proprio della commedia inglese. Divertente fino alle lacrime, senza pregiudizi e raccontata con un tono totalmente infantile, data la giovane età della protagonista, e in contrasto con temi “da grandi” come il sesso, l’omosessualità e il razzismo. Anche le situazioni più critiche sono raccontate come solo un bambino sa fare, con magistrale distacco, senza soffermarcisi più di tanto. Da una parte la cosa aiuta, ma dall’altra, ammetto, l’uso di questo tono infantile, a lungo andare, un po’ stufa, rendendo il tutto un po’ pedante, ma resta un libro che si legge velocemente e lascia il sorriso sulle labbra dall’inizio alla fine.
Per chi come me, ha amato il libro “Orgoglio e Pregiudizio” non potrà fare a meno di notare alcune similitudini, soprattutto nella protagonista Lizzie con la sua omonima.
Grossa pecca, mi duole dirlo, è il finale, che risulta alquanto frettoloso, lasciando alcune questioni irrisolte e chiudendo malamente le altre. Ma nulla toglie alla spiritosaggine della narrazione.
Se avete bisogno di ridere e rilassarvi, questo è il libro che fa per voi, ma attenzione non è per gente con pregiudizi, di nessun tipo.
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