Recensione “Il giorno della tigre” di Wilbur Smith
Pirati sanguinari, avidi commercianti e uomini assetati di vendetta: i mari che separano la costa africana da quella dell’India sono pieni di insidie e di pericoli. Ma per un Courteney l’unico pericolo degno di questo nome è quello che tocca la sua famiglia. O il suo onore.
Così, quando Tom, uno dei figli di Sir Hal Courteney, avvista un mercantile che sta per essere attaccato dai pirati, non esita a intervenire, mettendo a repentaglio la propria vita e quella delle persone a lui più care. L’esito dello scontro segnerà il suo futuro grazie a una svolta inaspettata.
Nelle stesse ore, nel Devonshire, un altro Courteney, Francis, sta prendendo la decisione più importante della sua vita: sull’orlo della rovina, prende il mare spinto dalla sete di riscatto e di vendetta. Tom Courteney, che è suo zio e vive a Città del Capo, ha infatti ucciso suo padre. Al suo arrivo in Sudafrica, però, Francis si troverà di fronte a una verità sconvolgente.
Dopo Monsone, il re dell’avventura torna a sorprenderci con una nuova appassionante epopea che inizia nell’estremo sud dell’Africa e attraversa il mar Arabico, approdando sulle coste dell’India. Un’avventura in cui intrighi, amori e tradimenti non lasciano scampo al lettore, riconfermando il posto di Wilbur Smith tra gli autori più amati dai lettori.
Devo ammettere che aspettavo bramosa l’ultima fatica di Wilbur Smith e, su molti aspetti, non mi ha delusa: la prosa scattante, la trama coinvolgente, il ritmo serrato sono una garanzia per il lettore affezionato. E poi, diciamolo, la famiglia Courteney ti entra nel sangue ed è come ritrovare un vecchio amico; in questo caso, più che altro, una nuova generazione di vecchi amici, perché sono le brame e le imprese dei nipoti di Tom a tessere il filo conduttore di questa nuova avventura, in cui ritroviamo però, personaggi amati come l’irresistibile Tom, il saggio Aboli, la temeraria Sarah. Naturalmente non possono mancare nemmeno quelli più detestati come l’avido Guy che neppure il figlio riesce a tollerare.
Aspetti negativi? Beh, un paio di cosette ci sarebbero: le splendide descrizioni che Smith ci regala della sua terra natia, così vivide da farti respirare l’aria stessa di Città del Capo, qui sono tristemente assenti, sostituite da accenni “salgariani” alla giungla indiana, zona evidentemente molto meno conosciuta dall’autore. Inoltre, sono sempre più crude le descrizioni di torture al limite del sadismo, quasi un voler scioccare il lettore, una peculiarità che non emergeva nelle prime opere dell’autore mentre, più di recente, è aumentata in modo tangibile, soprattutto in questa serie.
In ogni caso una lettura godibile, avvincente fino all’ultima riga e che consiglio assolutamente, in attesa del prossimo capitolo del maestro dell’avventura.