Recensione: “Il figlio del secolo” di Antonio Scurati
Care Fenici, oggi Tracy ci parla di “Il figlio del secolo” di Antonio Scurati
Lui è come una bestia: sente il tempo che viene. Lo fiuta. E quel che fiuta è un’Italia sfinita, stanca della casta politica, della democrazia in agonia, dei moderati inetti e complici. Allora lui si mette a capo degli irregolari, dei delinquenti, degli incendiari e anche dei “puri”, i più fessi e i più feroci. Lui, invece, in un rapporto di Pubblica Sicurezza del 1919 è descritto come “intelligente, di forte costituzione, benché sifilitico, sensuale, emotivo, audace, facile alle pronte simpatie e antipatie, ambiziosissimo, al fondo sentimentale”.
Lui è Benito Mussolini, ex leader socialista cacciato dal partito, agitatore politico indefesso, direttore di un piccolo giornale di opposizione. Sarebbe un personaggio da romanzo se non fosse l’uomo che più d’ogni altro ha marchiato a sangue il corpo dell’Italia.
La saggistica ha dissezionato ogni aspetto della sua vita. Nessuno però aveva mai trattato la parabola di Mussolini e del fascismo come se si trattasse di un romanzo. Un romanzo – e questo è il punto cruciale – in cui d’inventato non c’è nulla. Non è inventato nulla del dramma di cui qui si compie il primo atto fatale, tra il 1919 e il 1925: nulla di ciò che Mussolini dice o pensa, nulla dei protagonisti – D’Annunzio, Margherita Sarfatti, un Matteotti stupefacente per il coraggio come per le ossessioni che lo divorano – né della pletora di squadristi, Arditi, socialisti, anarchici che sembrerebbero partoriti da uno sceneggiatore in stato di sovreccitazione creativa. Il risultato è un romanzo documentario impressionante non soltanto per la sterminata quantità di fonti a cui l’autore attinge, ma soprattutto per l’effetto che produce. Fatti dei quali credevamo di sapere tutto, una volta illuminati dal talento del romanziere, producono una storia che suona inaudita e un’opera senza precedenti nella letteratura italiana. Raccontando il fascismo come un romanzo, per la prima volta dall’interno e senza nessun filtro politico o ideologico, Scurati svela una realtà rimossa da decenni e di fatto rifonda il nostro antifascismo.
A fine libro, posso usare una sola espressione: inquietante e profondo.
L’autore ha tracciato un profilo che ci riporta a un periodo storico davvero poco conosciuto. I libri di storia a volte sono orientati verso questa o quell’ideologia politica, alcuni fatti si omettono e molti altri si filtrano, perché la moltitudine delle persone non capisce davvero cosa legge.
Qui invece il quadro è preciso, puntuale, raccontato senza filtri o sfaccettature, da un antifascista che però ha ben chiaro cosa fare con il materiale in suo possesso: dire la verità.
Non è un romanzo, è un lavoro certosino in cui mette in fila il periodo storico che va dal 1919 al 1925.
Passa attraverso le voci dei protagonisti, ne narra le emozioni, le paure, i pregi, ma soprattutto il loro essere umano. Non sono belli come i personaggi di un romanzo, non sono l’orco cattivo di cui aver paura, ma persone vere con cui confrontarsi, di cui capire il coraggio e la follia, prima di comprendere chi o cosa abbia portato quella fragile Italia al disastro che tutti conosciamo.
Benito Mussolini è di forte costituzione fisica sebbene sia affetto da sifilide. Questa sua robustezza gli permette un continuo lavoro. Riposa fino a tarda ora del mattino, esce di casa a mezzogiorno ma non rientra prima delle tre dopo mezzanotte e queste quindici ore, meno una breve sosta per i pasti, sono dedicate all’attività giornalistica e politica. È un sensuale e ciò è dimostrato dalle molte relazioni contratte con svariate donne. È un emotivo e un impulsivo. Questi suoi caratteri lo rendono suggestivo e persuasivo nei suoi discorsi. Pur parlando bene, però, non lo si può definire propriamente un oratore. È in fondo un sentimentale e questo gli attira molte simpatie, molte amicizie. È disinteressato, generoso, e questo gli ha procurato una reputazione di altruismo e filantropia.
Questo dice dell’uomo che ha conquistato, irretito, distrutto la nostra nazione. Preso dalle cronache, tutti credo sappiano che Benito Mussolini non fosse un uomo qualunque, ma vederlo additato dai bambini di Milano come ‘El matt!’, lascia abbastanza basiti.
Un racconto in cui l’uomo viene fuori, dal suo rapporto con la moglie Rachele:
Era stata Rachele a segnare una differenza. Era una donna ignorante. Aveva ventinove anni e stava appena imparando a leggere e a scrivere. Si firmava “bachi” invece di “baci” e sul retro delle lettere si ostinava a precisare “spedisse Rachele Mussolini”, scivolando sulla “s” sibilante del dialetto romagnolo.
A una delle sue amanti:
Era stata la Sarfatti, l’amante, non la moglie, a capire. Non appena lui, per giustificare un ritardo a un appuntamento segreto, aveva descritto i sintomi del bambino, lei aveva sentenziato: “È difterite! Prendi un taxi e corri a chiamare un dottore.”
Nulla sfugge in questo libro: dai pensieri deliranti di D’Annunzio, a quelli cupi di Dumini, alla preoccupazione di Rossi, fino al coraggio eloquente di Giacomo Matteotti. Tutto viene descritto con una lucidità e un fervore che ci fa entrare in pieno nella storia, vivere quel momento, sospirare e, con il senno di poi, possiamo dire: io non avrei fatto così. La storia insegna, la storia vive e noi con lei.
Un romanzo che è un bellissimo e intenso documento che ci porta a sospirare sull’ultima pagina, quell’inevitabile giorno in cui in Italia il Fascismo diventa il Regime.
Mi sono giustificato dinanzi alla storia ma devo ammetterlo: è struggente la cecità della vita riguardo a se stessa. Alla fine si torna all’inizio. Nessuno voleva addossarsi la croce del potere. La prendo io.
Signori, la storia è servita.
Buona lettura!