Incontro con l’Autore: Intervista a Deda Daniels
Care Fenici, grazie all’impegno di Ipanema oggi abbiamo la possibilità di conoscere una grande disegnatrice: Deda Daniels
Disegnatrice eclettica e originalissima, nella vita Deda Daniels insegna a Singapore ma ha girato il mondo. È Storyboard Artist, Background Designer e Product Designer per Disney, Hasbro, Mattel e Nickelodeon. Attualmente è Comic Artist Indie.
Il suo sito ufficiale, dove potete vedere molte delle sue opere e apprezzarne lo stile singolare è https://www.artstation.com/dedasaur
In occasione della presentazione presso la Libreria Trame di Bologna della sua La Musa Dimenticata, disegnata e scritta in collaborazione con Emilia Cinzia Perri, Deda, arrivata per l’occasione da Singapore, ci ha raccontato un po’ di lei e della sua storia. Qui il riassunto della lunghissima ma interessantissima chiacchierata che abbiamo fatto con lei.
Ciao Deda, allora, raccontaci un po’ di te. Sei sempre stata appassionata di cartoni animati?
Sì, fin da piccola sono sempre stata appassionata di animazione. Nel ‘78 mia madre mi portò a vedere Bianca e Bernie, e rimasi folgorata dall’albatros che, anziché atterrare, si cappottava. Fin da piccola mi piaceva raccontare storie, inventarmele, e mi piaceva disegnare. Per anni ho continuato a ripetere a tutti che volevo lavorare per la Disney. Forse i primi fumetti li ho disegnati quando avevo otto anni e non ho mai smesso. Però è stato verso i sedici anni, quando ho iniziato a informarmi su come funzionavano i cartoni animati che mi sono interessata agli storyboard. E quindi parecchie delle mie storie, che inizialmente erano state composte come fumetti, sono diventate storyboard, con un’impostazione proprio cinematografica, con inquadrature e zoom e movimenti di camera. Mi piaceva osservare e fissare nella mente le inquadrature dei film che più mi colpivano per poi riprodurle.
Ma tu hai fatto una scuola d’arte?
Non ho fatto nessuna scuola d’arte qui in Italia. Alle superiori ho studiato Ragioneria e dopo sono finita a Siena a studiare Arte, Musica e Spettacolo. Inizialmente ho scelto l’indirizzo del Cinema, quindi mi sono interessata al Teatro ma subito dopo ancora sono passata a Storia. Ho avuto problemi con la mia tesi di laurea. Continuavano a morire i docenti. E prima che “facessi morire” anche il mio professore preferito, mi sono posta una domanda: “Come posso fare per raggiungere ciò che voglio?” e la risposta è stata: “trovarmi un lavoro estivo.” Feci domanda, nel 1998, a Disneyland Paris. Mio padre era convinto che non mi avrebbero mai presa, ero già anche abbastanza grande, perché a metà del mio percorso universitario mi ero ammalata e lo ero stata per molto tempo, ma io ero determinata. E mi sono fatta assumere. Ho lavorato lì per sei mesi, poi ho scoperto che Disneyworld assumeva italiani per Epcot. Sono andata lì con la speranza di potermi poi iscrivere all’Università che volevo frequentare. Dopo qualche mese, chiesi al mio manager di promuovermi a cameriera, perché avrei guadagnato più soldi con le mance. Era un lavoro molto difficile e faticoso, e alle donne non era permesso perché dovevano portare vassoi pesantissimi e non ne avevano la forza, e indossavamo un costume vittoriano con gonnelloni lunghissimi, ma io ho dimostrato di poterlo fare e ho fatto un sacco di soldi per quei pochi mesi che mi erano rimasti e che sono stati sufficienti per pagarmi i primi due semestri di università.
Ma la tua famiglia come l’ha presa? Ti ha sostenuta?
Diciamo che sono quasi scappata di casa. All’inizio mio padre aveva dubbi: “Ci sono tante persone che sanno disegnare”, ma è anche vero che poi mi disse: “Se prendi tutte A (il massimo voto in USA), ti aiuto a pagare il resto degli studi.” Mia madre e mia sorella invece hanno sempre creduto in me. Quando ho iniziato a prendere tutti voti altissimi, lui ha mantenuto la sua promessa, io ho continuato a lavoricchiare però. Mi ero iscritta all’Academy of Art University di San Francisco perché era dove insegnava Barbara Bradley, che era una di quegli illustratori storici americani che hanno insegnato a tutti gli animatori Disney. Mi ero detta: “Eh, no, io vado lì.” Perché per me la cosa fondamentale era saper disegnare bene. Quindi sono volata laggiù. In quella zona poi c’era un’industria fiorente: la Dreamworks, la Pixar, Eletronic Arts, e tante altre ditte. Già al secondo anno di università facevo l’assistente ai miei docenti che lavoravano nei vari Studios; abbiamo lavorato su svariati progetti. Sono entrata per un po’ in Disney, ma dopo che ha chiuso sono entrata nel product design; ho infatti lavorato su tutte le Principesse Disney, ho lavorato su i Pirati dei Caraibi, lavori disparati. E poi ho lavorato con un mio amico che prendeva progetti a contratto, e con lui ho lavorato su Spongebob, tra le altre cose.
Hai lavorato anche come free-lance, quindi.
Sì, per parecchi anni ho fatto molti lavori free-lance. Poi sono tornata in Italia. Nel 2006 per la precisione. Ma dopo quattro anni sono ripartita e sono finita a Singapore. Nel 2010 ho iniziato a fare Web Comics, per distrarmi. Ero così stressata che mi ammalavo in continuazione e avevo bisogno di qualcosa che mi rilassasse.
I Web Comic sarebbero?
Sono fumetti su internet. Ho iniziato con Il Pirata Baldassarre nel gennaio 2010, intorno al 2012/2013 Il fiore e il naso, e l’anno scorso ho iniziato il terzo che è Il Marchio di Caino.
(tutti i web-comic di Deda possono essere visionati online su Tapas)
Spieghiamo anche alle lettrici di Romanticamente Fantasy: Web comic è, come hai detto, un fumetto completo pubblicato online. Vale a dire, cioè, che non ha una destinazione successiva a livello cartaceo, self-publishing o altro. È così?
È così.
Ed è gratuito, ci guadagni solo attraverso i click adsense, in pratica.
Sì. Ho messo giusto un bannerino a Patreon, se vuoi pagarmi un caffè. Quindi gli estimatori vengono, leggono le mie storie e una volta al mese mi offrono un caffè. Il web comic è qualcosa che faccio, da una parte per mantenermi in allenamento, perché dato che insegno, fare l’artista è come fare il dottore: devi costantemente mantenerti aggiornato, non puoi restare indietro, altrimenti sei perduto. Ma mi servono anche per testare cose nuove. A parte le gif animate, che adesso fanno tutti ma che io facevo già parecchi anni fa, adesso faccio le vignette a 360°. Metto online qualcosa ogni giorno, ogni giorno esce una pagina diversa, e su parecchie piattaforme. La mia preferita è Tapas.
Quindi, la versione integrale di questi tuoi web-comics dove la troviamo?
Su Tapas, su Shockdom c’è la versione italiana del Pirata Baldassarre, gli altri ancora non sono stati tradotti in italiano, a breve penso di farlo perché c’è molta richiesta. Poi sono su Deviant Art, e su Instagram, e varie altre piattaforme di Social Media.
Allora, tu hai uno stile che è – mi sembra – completamente Deda Daniels. Perché non è interamente Disney. Da profana, mi sembra di riconoscere nei tuoi disegni lo stile di Hercules, a mio avviso uno dei più belli dei cartoon Disney contemporanei.
Sì, qualche anno fa abbiamo realizzato, insieme a Emilia Cinzia Perri, un piccolo fumetto, La scommessa, che doveva essere di sole sei pagine e aveva uno stile misto tra Cartoon Network e Hercules di Disney. Un mio lettore, che mi ha fatto morire dalle risate, una volta disse: “il tuo stile è Disney ma figo.” In effetti in ciò che faccio ci metto sempre tutto ciò che mi piace, e quindi mi influenza artisticamente. Glenn Keane e Mark Henn, i vari animatori del rinascimento Disney, e soprattutto James Baxter. Baxter è partito alla Disney ma poi ha lavorato su Il Principe d’Egitto, Sinbad, Spirit. Uno dei miei storyboard artist preferiti è Genndy Tartakovsky, poi adoro Jim Henson e i Muppets in generale e i lungometraggi Disney degli anni ‘90. Questo per gli americani. Poi c’è Osamu Tezuka che è il mio padre spirituale, per quello che riguarda le fonti di ispirazione per il Giappone. Adoro il fumetto francese e Belga in generale, e per quello che riguarda gli italiani, Sergio Toppi. Io si può dire che sono cresciuta a “pane e Sergio Toppi”. E pensa, quando è morto, ho pianto tantissimo perché avevo perso l’occasione di poterlo conoscere. Un’altra persona che ha contato tantissimo nella mia vita è Barbara Bradley. Da lei ho imparato tantissimo e devo a lei se ho ripreso a disegnare. Quando sono tornata in Italia, per mantenermi ho dovuto fare i lavori più disparati, accantonando il disegno. Così, quando ho scoperto che era venuta a mancare, mi sono sentita malissimo: non avrei più avuto la possibilità di tornare a trovarla e farle vedere una cosa che avevo creato negli anni, di vederla sorridere come era solito fare quando vedeva i miei lavori. Ed è per quello che ho ripreso a disegnare.
Adesso vivi a Singapore. Insegni in un’importante università. Ci vuoi raccontare un po’ della tua “nuova” vita oltreoceano?
Vivo a Singapore da quasi nove anni. Lavoro come docente presso la Scuola di Interactive & Digital Media del Politecnico Nanyang. La scuola è pioniera del settore, esiste da più di vent’anni ed è considerata la quarta scuola al mondo per Motion Graphics e la settima per Illustrazione (secondo la graduatoria di The Rookies). La cosa figa è che pur essendo una scuola terziaria i miei studenti vanno dai 17 ai 19 anni e dopo il diploma del politecnico potrebbero andare all’Università per altri tre anni o lavorare. In molti prima lavorano e poi proseguono con gli studi; è il suggerimento che do sempre anche io, si devono fare un’idea dell’industria e del mercato.
Singapore non è in Cina, non è in Korea e non è in Giappone. Singapore è una città stato di nemmeno 60 anni, tra la Malesia e l’Indonesia. Sono a tre ore di volo da Phuket e a tre ore di volo da Bali, a 5 da Hong Kong, 4 da Bangkok, 10 ore da Tokyo, 5 ore da Beijing, la Cambodia, il Vietnam e il Myanmar sono pure là vicino. Posso raggiungere il Borneo in traghetto. Se mi affaccio alla finestra vedo Sandokan (LOL)
Singapore è la Svizzera del Sud Est Asiatico. Per me è come se la Sicilia e la Svizzera avessero avuto un figlio. Qui vivono in armonia tre razze diverse: cinese, malese e indiana. Ci sono circa 6.5 milioni di abitanti 2.5 sono immigrati ed è un capolavoro di integrazione e armonia razziale.
Questa mescolanza ha portato alla creazione di una lingua chiamata il S’inglish. È un pidgin English con diversi livelli, ma per farti un esempio, per chiedere a qualcuno se ha già mangiato in inglese chiederesti “Have you already eaten?” “Did you already eat?” (negli Usa) qui è “Dei, ni makan oredy anot?”. Dei è amico-fratello in Tamil, ni è tu in cinese, makan è mangiare in malese, oredy è already, anot è or not.
Fondamentalmente la popolazione è molto mite con un grande senso civico (hanno ahimè un sistema giudiziario severissimo con pene corporali e pena di morte – per gli spacciatori di droga). Fanno una vita stressantissima, mangiano piccantissimo, non cucinano, hanno tanto street food.
Gli studenti sono tutto, per me. Sono onesti, se arrivano tardi perché non si sono svegliati non inventano scuse ma dicono “Ms Deda, non mi sono svegliato”. Non li punisco ma parliamo e cerchiamo di capire da cosa viene la stanchezza che non li fa svegliare. Raramente non consegnano i compiti, li fanno sempre e per tempo. Sono affettuosissimi, ti rincorrono per salutarti, ti fanno i regalini per la festa degli insegnanti (anche se è una festa solo per scuole secondarie), dopo che si diplomano continuano a venirti a trovare per anni, se vanno all’estero ti portano souvenir, se vivono all’estero ti portano cose che secondo loro sono fighissime. Siccome lavorano tanto, sono stanchi e stressati, io organizzo cose sceme per loro: faccio il caroling natalizio vestita da dinosauro, mi vesto da strega caramella per halloween e distribuisco dolcetti, celebriamo lo Star Wars Day, porto biscotti e confetti dall’Italia.
Quando sono stanchi a lezione li faccio alzare in piedi e facciamo stretching. Invento meme per i concetti più difficili così restano con loro, salgo sui tavoli e sulle sedie quando spiego le pose (se non mi vedono), faccio spiegazioni di sette minuti ogni mezz’ora anziché fare una lezione di due ore sennò si addormentano. Sono una generazione interessante. Sono delicati ma sono anche altruisti, fanno un sacco di volontariato.
L’unico difetto è che sono un po’ distratti, non sempre consapevoli di quello che li circonda, perché Singapore è un posto sicuro con un tasso di criminalità tipo dello 0,03%, questi per prendere posto ai tavoli a mensa fanno Chope (lasciano un oggetto sul tavolo per dire che il tavolo è loro, e il Chope viene rispettato) col telefonino, col portafogli, con oggetti di valore. Qua non tocca niente nessuno!
Ogni tanto, quando camminano guardando il telefonino, si fermano e devi attivare le sinapsi motorie con una spintarella da dietro (specie sulle scale mobili, sennò ci cappottiamo tutti). Non so perché pensino sia okay non guardare avanti, in un posto così densamente popolato. Facendo il paragone con Tokyo e Hong Kong, gli i’zombie di Hong Kong ti spintonano, quelli di Tokyo corrono come gli zombie di “28 days later”, a Singapore abbiamo gli zombie classici di Romero. Sarà il caldo, è sempre estate qua, sono tutti un po’ sluggish. Tollerano il caldo meno di me e mi fanno “Maaaah, che caldo oggi!” e io sorrido perché qua al massimo arriviamo a 32 gradi, da me il caldo è 45 gradi all’ombra. Sorrido, poi li porto a Roma in agosto e je cade ‘a mascella, mortacci! hahaha
A un giovane che vorrebbe intraprendere la tua carriera, cosa suggeriresti?
Disegnare, tanto e dal vero. Era una cosa, quando ero più giovane, che non amavo molto fare. Quando mi chiedevano “Fammi un ritratto” io mi incavolavo. Mi incavolo anche adesso, eh? Ma perché me lo chiedono gratis. Poi ho scoperto, invece, che più disegnavo dal vero, più costruivo un archivio visivo. Per cui se mi trovavo a dover disegnare una finestra per un’illustrazione o uno sfondo, per esempio, ne avevo disegnate così tante dal vero che avevo solo l’imbarazzo della scelta nella mia testa. In pratica, mentre stai disegnando qualcosa, ti stai spiegando come questa cosa è fatta e ti resta per sempre e la prossima volta che vuoi disegnare qualcosa a memoria, puoi tirar fuori dal tuo cassetto mentale quell’immagine. Posso disegnare bene le navi, le biciclette, palazzi, panorami della Grecia, posso disegnare la Malesia e i suoi paesaggi bellissimi, vado allo zoo a disegnare tutti gli animali, le persone sul treno che guardano il telefonino… quelli sono facili!
In pratica tu disegni sempre?
Sì, sempre. Io non mi porto il telefonino dietro. Quando prendo il treno ho con me uno sketchbook piccolino tiro fuori la penna e disegno. Poi è fondamentale leggere tanto. Di tutto, dai saggi ai romanzi. Alcuni romanzi, non essendo descrittivi lasciano tanto all’immaginazione. E poi comunque leggere fa proprio bene alla mente. Mi piacciono tanto i romanzi ma leggo anche molta saggistica: fisica, filosofia. Mi ispirano idee strane. La mente va allenata, l’immaginazione va sfamata, la conoscenza serve.
Insieme a Emilia Cinzia Perri hai ideato e disegnato il meraviglioso “La Musa Dimenticata”. Un libro omaggio a un grande artista pubblicato in due episodi, uno uscito l’anno passato, il secondo e finale che uscirà a breve. Ci puoi parlare di questo progetto?
È un progetto del quale abbiamo iniziato a parlare tanti anni fa ma le storie sono un po’ come l’impasto del pane, le devi lasciare riposare perché crescano. A un certo punto Emi mi dice “Deda, i personaggi mi stanno parlando, dobbiamo fare il fumetto”. La Musa, Ondina, la teneva sveglia la notte. I personaggi e le storie sono un po’ così eh, hanno il fuso orario sballato e ti svegliano alle tre del mattino perché devono dirti cose, uccidere persone, andare nello spazio, e tu c’hai sonno, c’hai un’età e vorresti dormire ma non puoi. Alla fine siccome si avvicinava il novantennale della nascita di Tezuka il progetto ha virato verso l’omaggio di questo grande autore che entrambe adoriamo alla follia. Abbiamo iniziato nel 2017 e ci abbiamo lavorato su due anni. È stata una goduria, perché Emi mi ha scritto una di quelle storie che io adoro leggere di “coming of age” e grandi passioni, con sfondo storico (adoro la storia), con una grande ricerca del background culturale e una cura e un amore per i dettagli che io ho dovuto comunque compensare a livello grafico. È una storia bellissima sulla ricerca della libertà da parte di un’artista che cerca l’affermazione e la sua verità, ambientata nella Germania di Bismarck che invece si sta militarizzando e irrigidendo. C’è questo divario tra gli slanci e le passioni di Markus e quelle che sono le convenzioni sociali e poi, all’improvviso, il mondo comincia a cambiargli attorno e Markus si trova sfasato. È anche una storia sulle varie forme dell’amore: quello romantico, quello famigliare, l’amicizia, e quello per i propri sogni. Il più grande simbolo di amore e libertà in questa storia è Andres, il mentore che tutti meriteremmo di incontrare nella nostra vita. Andres, forse, è il più grande di tutti i sogni e di tutte le aspirazioni. L’omaggio a Tezuka invece consiste nell’uso di certi stilemi grafici nella creazione dei personaggi: il mentore col naso grosso, la bimba col fioccone, il protagonista col ciuffone e poi c’è Theo che è l’evoluzione ultima di Rock Holmes (il mio personaggio preferito nello Star System di Tezuka). Ovvio che non ci siamo messe a ricalcare Tezuka, non si può rifare Tezuka, era unico, abbiamo concepito questo fumetto come un qualcosa che tiene in vita e porta avanti quella che era la sua filosofia, perché un’opera come quella di Tezuka merita di sopravvivere nel tempo e durare per sempre come i grandi classici. Nel mio piccolo mi dico sempre e spero: “La Musa Dimenticata potrebbe essere qualcosa che gli sarebbe piaciuto” e quindi gliela dedichiamo con tutto il cuore.
I tuoi progetti futuri?
Per il momento abbiamo finito insieme ad Emilia Cinzia Perri La Musa dimenticata. Un progetto che ci ha preso parecchi anni di lavoro e di cui siamo orgogliosissime. Ho intenzione di continuare con i web comics, di sicuro. Il fiore e il naso finirà a giugno 2019 se tutto va bene. E poi sto formando un paio di allieve perché ho davvero tante storie che vorrei realizzare ma non posso fare tutto da sola, allora voglio vedere se riesco a velocizzare il processo facendomi aiutare.