Recensione: “L’Anomalia” di Hervè Le Tellier
Titolo: L’Anomalia
Autore: Hervè Le Tellier
Editore: La Nave di Teseo
Genere: Distopico
Data di pubblicazione: l’11 marzo 2021
Nel marzo 2021, un Boeing 787 di Air France in volo da Parigi a New York incappa in una grande turbolenza prima di atterrare. Tre mesi dopo lo stesso aereo, con gli stessi passeggeri e un identico equipaggio, ricontatta i controllori di volo dell’aeroporto JFK. L’inspiegabile duplicazione preoccupa CIA, FBI e gli alti comandi dell’esercito, che dirottano l’aereo in una base militare. Le indagini degli Stati Uniti e delle altre potenze scatenano una caccia all’uomo planetaria per rintracciare i misteriosi doppi di tutte le persone a bordo. Ma durante quei tre mesi fatali, le vite di alcuni di loro sono cambiate per sempre: chi ha combattuto un male incurabile, chi ha raggiunto il successo soltanto dopo un gesto estremo, chi ha trovato l’amore e chi si è lasciato per sempre, chi ha finalmente affrontato le sue bugie. Tutti credevano di avere una vita segreta. Nessuno immaginava fino a che punto fosse vero.
In un romanzo imprevedibile – dove la letteratura sfida la logica, la scienza, tutto quello in cui crediamo – Hervé Le Tellier racconta la verità e i suoi inganni, alla ricerca dell’anomalia nascosta che può sfiorare la vita di ognuno di noi.
“Non ho mai saputo in che cosa il mondo sarebbe stato diverso se io non fossi esistito, né verso quali rive l’avrei traghettato se avessi vissuto più intensamente, e non vedo come la mia scomparsa potrebbe mai alterarne il movimento.
Questo distopico, che ha già venduto migliaia di copie in Francia, è stato una gran bella lettura.
Uno stile incalzante con una punteggiatura minima e frasi molto lunghe al tempo presente. Sembra di essere rincorsi da un branco di lupi! Quindi una lettura che tiene con il fiato sospeso, pur non essendo richiesto dagli sviluppi della trama, che invece si prende il suo tempo per disporre le carte sul tavolo.
Ammazzare, non è una vocazione, è una inclinazione. Uno stato d’animo, se preferite. Blake ha undici anni e non si chiama Blake. È accanto a sua madre, nella Peugeot, su una carrozzabile vicino a Bordeaux. Non vanno tanto veloci, un cane attraversa la strada, lo scossone li dirotta appena, la madre urla, frena, con troppa violenza, la macchina sbanda, il motore si spegne. Resta in macchina, tesoro mio, mio Dio resta qui in macchina, Blake non obbedisce, segue la madre.
Buona parte del romanzo è introduttivo, con presentazioni attive di una grandissima quantità di storie parallele. Verso la metà queste storie troveranno il punto di incontro, il momento cruciale in cui si intrecciano. È come se l’autore avesse impiegato calma e pazienza per posizionare le tessere di un domino sul tavolo in attesa del punto, a metà libro, in cui farle cadere tutte insieme, nel classico effetto a catena.
È intuitivo che più tessere si posizionano una accanto all’altra e più divertente sarà il gioco. L’autore ammette di aver cercato di mostrarci il numero massimo di storie parallele che sia possibile introdurre contemporaneamente senza far scappare il lettore prima del momento clou. Naturalmente serve bravura per farci appassionare a undici personaggi caratterizzati in modo pieno, con una propria individualità e una propria vita/obiettivi/sogni/problemi. È stata una scelta molto rischiosa (devo ammettere di aver confuso più di una volta alcuni nomi), per la quantità di informazioni e per l’impegno emotivo di empatizzare con ognuno di loro. Tuttavia, una volta superato il punto di svolta, ho trovato la scelta azzeccata.
Victor osserva tutte quelle esistenze sperse, tutte quelle ansie semoventi nella smisurata capsula di Petri di quell’hangar – che razza di parola, poi – senza sapere a quale affezionarsi. Si abbandona alla fascinazione per delle vite che non sono la sua. Vorrebbe sceglierne una, trovare le parole giuste per raccontare quella specifica creatura e arrivare a credere di esserle arrivato tanto vicino da non poterla tradire. E poi passare a un’altra. E poi a un’altra ancora. Tre personaggi, sette, venti? Quanti racconti simultanei accetterebbe di seguire un lettore?
Come dicevo, si tratta di un romanzo distopico: un giorno, di punto in bianco, un aereo esce da una turbolenza due mesi dopo esserne entrato, senza rendersene conto. Per di più, l’aereo e tutti i passeggeri sono una replica esatta di un altro identico, regolarmente atterrato due mesi prima. Non riuscendo a seguire la storia di tutti e 200 i passeggeri, ci limiteremo ad approfondire le vicende di undici di loro (di cui uno è uno scrittore, che dialoga quindi in modo più o meno esplicito con i lettori).
Il mio corpo si è accontentato di animarsi tra linee che io non ho tracciato. C’è una forma di presunzione nel lasciar credere di essere liberi di muoverci nello spazio, quando invece ci limitiamo a seguire le traiettorie di minima azione.
Approfondiamo la conoscenza di questi personaggi che, in una sorta di indagine sociologica, incontrano i se stessi più vecchi di due mesi e la cui vita ha subito già qualche svolta importante. Da questo confronto e dalla scoperta di questo evento imprevisto e inspiegabile scaturiranno diverse reazioni (repulsione, fratellanza, gelosia, istinto omicida, amicizia, sollievo, sostituzione, complicità etc.) non solo nei protagonisti che incontrano il proprio doppio, nei loro figli e nei loro partner, ma anche nella società, nelle fedi religiose e nella politica.
Di fronte a quel gesto, l’altra Joanna non riesce più a respirare, il dolore le strazia il petto. Sua sorella sarà sempre sua sorella, ma lei ha un solo Aby. Ci sono amori che si possono sommare, altri che non potranno mai essere divisi. – È orribile, dice Aby, prendendo anche la mano dell’altra. Ma io non vi amo tutte e due. Amo soltanto una donna, che si chiama Joanna.
Buono lo stile: è evidente che l’autore è capace, sia nella progettazione dell’intreccio, nella caratterizzazione dei personaggi, nel dialogo e nella confidenza che riesce a prendersi con i lettori.
Il finale per i miei gusti è troppo aperto, ma c’è un altro elemento che avrei gradito più pregnante.
Mi aspettavo di trovare grandi riflessioni filosofiche sul significato della vita e sull’identità, basate sull’esperimento distopico del ritrovarsi di fronte al proprio doppio.
Ma, per quanto le tematiche filtrino in qualche sfaccettatura da un testo esperto e maturo, questi approfondimenti sono ridotti ai minimi, senza pretesa di indagare lo spettro delle varie opzioni né di esplorare troppo i risvolti psicologici dei protagonisti.
Be’, è fatta, ora lo sanno, il Cro-Magnon è un tale irredimibile imbecille che ha devastato il suo ambiente virtuale, distrutto le foreste, inquinato gli oceani, si è riprodotto a dismisura, e ha bruciato tutta l’energia fossile, al punto che la quasi totalità della specie finirà per morire di caldo e di idiozia in appena cinquant’anni simulati.
Senza quindi pretese di sviluppi psico-sociologici, il romanzo rimane una bella costruzione di tipo fantascientifico-distopico, con un finale che ci lascia qualcosa su cui riflettere riguardo alle paure dell’uomo e il suo modo di reagire a ciò che non capisce.
Non c’è alcuna differenza tra pensare e credere di pensare, e dunque tra credere di esistere ed esistere.
[…] Che cosa cambierebbe per loro, dopo tutto? Simulati o no, si vive, si sente, si ama, si soffre, si crea, e si morirà tutti, lasciando ciascuno la propria minuscola traccia nella simulazione. A che serve sapere? Bisogna sempre preferire l’oscurità alla scienza. L’ignoranza è una buona compagna, e la verità non produce mai la felicità. A quel punto meglio vivere simulati e felici.