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Recensione: New Amsterdam – 3×12

Forse qualcosa è cambiato in New Amsterdam nell’episodio dal titolo “Things Fall Apart” per la nostra Wicked Wolf. Scopriamo insieme cosa. Qui intanto quello precedente e buona lettura!

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Progetto grafico di Francesca Poggi

Tenetemi Fenici, è tutto troppo intenso! Gli sguardi, rendersi conto di un sentimento, la paura di perdere quella persona, quel quasi limone in punto di morte…

Ma più di tutto abbiamo la prima gioia in dodici episodi: Max che se la prende con qualcosa che può gestire, anziché provare a risolvere i problemi del mondo.

New Amsterdam - 3x12

Al pronto soccorso del New Amsterdam crolla un controsoffitto, sfondato da un liquido incolore e inodore; quando i pazienti iniziano a stare da cani apprendiamo con grande giubilo che, per ragioni ignote perfino agli sceneggiatori, da qualche parte c’è qualcosa che fuoriesce da un tubo collegato a una cisterna, è un erbicida vietato dalla legge da tipo trent’anni (cosa ci faccia l’ospedale col diserbate in una città come New York è un vero mistero!).

Max, che questa settimana non può prendersela con i padri pellegrini, il Ku Klux Klan, l’Impero, Thanos e la Umbrella Corporation, decide di andare da solo a cercare l’origine della perdita. Non spoilero l’esito di questa sua fenomenale impresa, mi limito a illustrarla con le due immagini che accompagnano questa recensione: tirate le vostre conclusioni.

Come al solito, il segmento di Iggy è intenso e ricco di interesse: questa settimana si occupa delle persone che hanno i figli ricoverati in psichiatria. Il nostro medico cerca in tutti i modi di infondere loro positività, ma ben presto si rende conto che, per stare bene, si ha bisogno anche di accettare ciò che abbiamo davanti, affrontarlo e ammettere i nostri limiti; il momento in cui tutti i genitori sfogano le loro frustrazioni confidandosi col gruppo è tremendamente crudo e veritiero.

New Amsterdam - 3x12

Max resta un puro di cuore dal cervello assai limitato, ma per una volta è rinfrancante vederlo correre in giro per l’ospedale per gestire un problema pratico (che comunque non spettava a lui, ma non sottilizziamo) anziché uno sistemico; il fatto che ci abbia quasi lasciato le penne sinceramente non mi ha fatto né caldo né freddo, come non mi ha toccato, ahimè, la reazione di Helen.

Quel bacio che gli spettatori attendevano dal primo giorno non c’è stato e probabilmente non ci sarà perché, beh, di nuovo il nostro direttore sanitario ha una questione ben più pressante da risolvere: i genitori di Georgia intendono chiedere l’affidamento di Luna.

Detto così sembra anche brutto, poi vai a ragionare sul personaggio di Max e vedi uno stacanovista che lavora ottantaquattro ore al giorno, si fa quasi ammazzare da una cisterna di diserbante e di fatto non ha tempo per stare con sua figlia, la quale sta chiusa in un appartamentino di New York in mezzo allo smog con un continuo andirivieni di babysitter; dall’altra parte ci sono i nonni che vivono in una grande casa in campagna e sono liberi di stare con la bambina tutto il tempo. Lungi da me chiedere la revoca della patria potestà, ma io qualche domanda me la farei.

Accantonate le questioni pratiche, questo episodio ci ha regalato un esempio di regia straordinaria quando Helen ha trascinato Max nella doccia decontaminante. Una scena così lunga, basata esclusivamente sulle inquadrature e sulla chimica degli attori è stata una scelta coraggiosa e ha trasmesso tanto, senza che dovessero pronunciare una sola parola.

Nelle giuste circostanze non c’è bisogno di dialoghi goffi per comunicare intimità ed emozioni; un concetto che, purtroppo, New Amsterdam sembrava aver dimenticato in questa terza stagione quando tutta l’attenzione si è concentrata sui grandi temi sociali.

Mi piace pensare che sia un lento ritorno a quel modo selvaggio e pur delicato che riusciva a prendermi il cuore a ogni episodio.

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