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Incontro con l’Autore: Intervista a Laura Costantini

Care Fenici, oggi grazie a Ipanema incontriamo un’autrice veramente speciale: venite con noi a conoscere Laura Costantini

Romana, giornalista di professione, scrittrice per passione. Una passione che coltiva da sempre, soprattutto a quattro mani con Loredana Falcone con la quale quest’anno festeggia i dieci anni di pubblicazioni. Il loro primo romanzo, “Le colpe dei padri”, è uscito nel 2008, tenendo a battesimo la casa editrice Historica di Francesco Giubilei. Da allora la narrativa è stata compagna fedele portandola a pubblicare con varie case editrici – Las Vegas Edizioni, goWare, Il vento antico Edizioni, Dei Merangoli Edizioni, Harpercollins Italia – ma anche a concepire un progetto di self-publishing con il marchio FC Falconecostantini che ha esordito quest’anno con il romanzo breve “Se non avessi più te”. Il Diario vittoriano è la sua prima produzione a due sole mani.

Ciao Laura, grazie per aver accettato di rilasciarci questa intervista. Prima domanda: come nasce questa tua passione per la scrittura?

Dalla lettura. A sei anni ho imparato a leggere ed è diventata una necessità primaria. Leggevo tutto, sempre. E più leggevo, più mi saliva la voglia di raccontare storie. Lo dicono in tanti e in altrettanti mi fanno notare che “vantare” di aver cominciato a scrivere in tenerissima età (io a otto anni) mi inserisce nel novero degli aspiranti autori incapaci. Ora, capire il collegamento è troppo oltre per le mie limitate capacità. Io a otto anni scrivevo favole dense di principesse con abiti incrostati di gemme che poi disegnavo, anche. E da allora sono cambiate le protagoniste, ma la passione è rimasta intatta.

Scrivere, dunque, è parte integrante del tuo lavoro. Come riesci a conciliare mestiere e passione? Dopo una giornata intera a scrivere pezzi di cronaca e costume, non ti verrebbe invece voglia di buttare fogli e penna – o computer – all’aria e rilassarti?

La scrittura professionale è una cosa totalmente diversa. Secondo me attiene proprio a una diversa area cerebrale. Quindi dopo una giornata a scrivere pezzi, io non vedo l’ora di tornare a casa e scrivere le mie (o le nostre, quando scrivo con Loredana Falcone) storie. Perché per rilassarmi le mie attività preferite sono, nell’ordine, scrivere, legge, seguire serie ben fatte su Netflix.

Sei stimata e amata nell’ambiente letterario, conosciuta soprattutto perché in grado di scrivere romanzi che spaziano da un genere letterario all’altro senza fossilizzarti su uno in particolare oltre che a scrivere questi romanzi a 4 mani, insieme alla tua “Socia” Loredana Falcone. Ci racconti un po’ di voi? Come vi siete conosciute? Come e a chi è venuta l’idea di scrivere un romanzo insieme?

Stimata e amata… È bello sentirselo dire anche se io sono veramente una minuscola rotellina dell’ultimo vagone. E passiamo al duo scrittorio Falconecostantini. Ci siamo conosciute il 20 settembre 1977. Primo giorno di lezione del quarto ginnasio (primo anno) in un liceo classico di periferia romana. Lo abbiamo raccontato tante volte: io introversa come un orso appena uscito dal letargo, lei spigliata come un folletto dai lunghi capelli ramati. Mi invitò a sedere al suo banco. E da lì non mi sono mai spostata. Io scrivevo già, come ho detto, lei anche. Quando lo abbiamo scoperto, io le ho parlato di una serie di racconti fantascientifici che avevo scritto alle medie (ce li ho ancora, anche questi illustrati da me) rendendone protagonisti i miei compagni di classe. Non ricordo chi disse: facciamolo anche qui, con questa classe. Ma nacque così il nostro primo romanzo che immaginava un equipaggio composto dai nostri compagni di scuola, e da noi, su un’astronave lanciata verso un buco nero. Abbiate pietà, era l’epoca dei primi cartoni animati giapponesi ed eravamo tutti in loop per Atlas Ufo Robot.

Scrivere a 4 mani è, almeno sulla carta, estremamente affascinante. Voi avete da poco concepito un “brand”, il FC, Falconecostantini, che rievoca il duo più famoso e compianto di Fruttero e Lucentini. Ci racconti un po’ il vostro metodo di scrittura? Come avviene? Dove? E quali sono gli strumenti che utilizzate per portare a termine un progetto?

Per anni abbiamo pensato di essere un caso raro. Invece, a parte i mitici Fruttero e Lucentini, ci sono molte coppie scrittorie: Lanteri&Luini, Soprani&Corella, Flumeri&Giacometti, Tersite Rossi, Parigi Sozzi, altri ed altre. Però una caratteristica solo nostra l’abbiamo: noi scriviamo insieme. Ci troviamo fisicamente, nella cucina di Lory (che è anche il nome di un gruppo legato alla nostra pagina autrici su FB), accendiamo il laptop e scriviamo. Nessuna divisione di compiti, di capitoli, di personaggi. In pochi riescono a concepire una modalità simile, ma noi quest’anno festeggiamo i quarant’anni di co-scrittura e ormai viaggiamo sul filo della telepatia. Riguardo agli strumenti… dipende dal tipo di storia. Nel tempo, spaziando tra i generi, siamo passate dalle consultazioni di antichi testi in biblioteca a chiedere un colloquio con un funzionario della polizia scientifica. Siamo affamate di informazioni e documentare le nostre storie ci entusiasma almeno quanto scriverle. Poi, tra gli strumenti, possiamo annoverare le sigarette (per Loredana), caffè (per entrambe), tè e tisane con contorno di dolcetti (per me), connessione a internet e una porta da chiudere per escludere qualsiasi elemento di distrazione.

Litigate mai sullo sviluppo della trama? Come reagite se una delle due vorrebbe modificare la pianificazione iniziale?

Liti poche. Confronti molti. Modifiche tantissime e senza drammi. Siamo affiatate e nessuna delle due ha mai voluto prevalere sull’altra. La collaborazione femminile funziona benissimo anche perché siamo complementari. Per la promozione della nostra attività narrativa figuro quasi esclusivamente io. Loredana si è autodefinita la metà oscura.

Hai scritto il “Diario Vittoriano” in “modalità-solo”. Come mai? Ci vuoi raccontare un po’ la genesi di questo romanzo?

Il manoscritto originale, incompiuto, data 1978. Sei quaderni a quadretti, fitti fitti. Ma non riuscivo ad andare avanti. Solo che le storie, e i personaggi, non ti abbandonano mai del tutto. Robert ha avuto una grandissima pazienza. Ha aspettato che fossi costretta a trasferirmi a Campobasso, nel 2014. E che mi appassionassi alla serie della BBC “Sherlock”. In piena crisi da fangirl shippavo a morte John Watson e Sherlock Holmes. Durante uno dei settimanali tragitti Campobasso – Roma – Campobasso, mentre alla radio andava “Take me in church” di Hozier, mi è balzata nella mente l’immagine di un giovane uomo biondo al banco degli imputati. E una frase: “Voi mi chiedete se l’amavo…” Era Robert che, dopo 37 anni d’attesa, si prendeva la sua rivincita. Non sono riuscita a dirgli di no. Mi ha letteralmente “posseduta”. Ho iniziato a scrivere il “Diario vittoriano” nel luglio 2015. L’ho concluso a ottobre 2016. E mi sono resa conto che era un tomo da un milione e duecentomila battute.

Robert Stuart Montcliff e Lord Kiran di Lennox. Due caratteri all’opposto, una storia d’amicizia che si tramuta in amore travolgente in un’epoca in cui l’amore tra persone dello stesso sesso veniva condannata con la prigione e il confino. Perché hai voluto esplorare questo “mondo” e questa epoca in particolare?

Che esistesse un filone narrativo dedicato alle storie male-to-male l’ho scoperto quattro anni fa. E sì, arrivo sempre tardi, lo ammetto. All’inizio la cosa non mi convinceva. Poi ho letto il bel romanzo di Federica Gnomo “Ritratto di un preziosissimo amore indecente” edito da Triskell e ho capito che si poteva fare. Lei lo aveva fatto benissimo. Riguardo all’epoca, ho sempre adorato l’era vittoriana e già nel manoscritto originale gli anni erano quelli. La storia narrata dal Diario parte nel 1881 e si conclude nel 1901, anno della morte della regina Vittoria. È stato anche un modo per contribuire alla comprensione di un dato di fatto: l’amore non accetta paletti, confini, regole e limitazioni. Fino al 1861 nel Regno Unito la sodomia veniva punita con l’impiccagione. Dopo costava “solo” il carcere e i lavori forzati, come accadde a Oscar Wilde. Ancora negli anni ’40 un eroe come Alan Turing fu costretto a scegliere tra carcere e castrazione chimica. Un abominio. Non amo la narrativa con un messaggio prefissato. Io racconto storie. E quella di Robert e Kiran racconta di un amore grande e pieno di coraggio come moltissimi che, ancora oggi, affrontano l’intolleranza degli ipocriti, dei bigotti e degli ignoranti.

È appena uscito il 3° episodio, Miss Adele Dickinson. Un terzo romanzo carico di colpi di scena che traghetta tutta la storia verso il quarto e ultimo della serie. Quanto è stata dura separarsi dai personaggi, che – immaginiamo – dopo una così lunga permanenza nella tua mente devono per forza esser diventati quasi parte integrante del tuo essere?

Ho pianto quando ho messo la parola fine. Ero convinta di doverli lasciare e non mi davo pace. Poi mi sono resa conto che loro, Robert e Kiran, mi hanno regalato un intero mondo. Sono moltissime le vicende e gli aspetti che non hanno trovato spazio nella quadrilogia. Per questo è nato il contenuto speciale “Amanti – quel che il diario non dice” che ho regalato a chi ha manifestato il desiderio di leggerlo e che uscirà in e-book e cartaceo autoprodotto su Amazon a gennaio prossimo. Si tratta di un romanzo breve di raccordo tra il secondo volume e il terzo. Inoltre continuano a fiorirmi in testa spunti per racconti e piccoli spin-off. E credo che, a quadrilogia completa e pubblicata, raccoglierò i racconti in un volume corredato dalle splendide illustrazioni e cover che le mitiche Dany&Dany hanno accettato di realizzare per me e per i miei ragazzi.

Quando uscirà il 4° episodio finale? C’è già una previsione da parte della goWare?

Nel 2019, di sicuro. E altrettanto di sicuro farò in modo che l’uscita sia accompagnata da qualche sorpresa per ringraziare lettori e lettrici che si sono innamorati di Robert Stuart Moncliff e di Lord Kiran di Lennox.

 

 

 

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