Recensione: “A mano disarmata” di Federica Angeli
Care Fenici, oggi la recensione di Nayeli è dedicata al libro di Federica Angeli “A mano disarmata”
Siamo a Ostia, nel 2013, e tra gli abitanti di quei palazzi c’è anche Federica Angeli, cronista di nera per le pagine romane di «la Repubblica», che in quella periferia è nata e cresciuta. Da tempo si occupa dei clan locali e ha subìto gravi minacce. Sa quindi come è fatta la paura, ma crede che l’altra faccia della paura sia il coraggio. Se i vicini rientrano obbedienti al comando del boss, lei decide di denunciare ciò che ha visto. Dal giorno dopo la sua vita è stravolta: per la sua incolumità le è assegnata una scorta, eppure nessuna intimidazione fa vacillare la sua fede in un noi con cui condividere la lotta per la legalità. La storia giudiziaria di cui è protagonista fino alle più recenti sentenze ci parla di una possibile seppur faticosa vittoria, confermando che tutti insieme possiamo alzare la testa e cambiare in meglio. Federica Angeli ha ottenuto questa vittoria con l’unica arma che possiede, la penna, e in queste pagine ci racconta le tappe di una vera e propria sfida alla malavita, nel solco di un giornalismo nobile, illuminato di etica civile, che non compiace mai null’altro che la verità, con una coerenza a tratti severa. In un susseguirsi di colpi di scena, viviamo con lei le sue paure, a tratti la disperazione e i momenti di solitudine. La sua testimonianza puntuale, incalzante, senza respiro non dimentica mai la sua dimensione di donna, di madre e di moglie contesa alla serenità famigliare. Una serenità che, ispirata dalla “Vita è bella” di Benigni, Federica Angeli riesce magicamente a preservare, coinvolgendo i figli in un gioco alla guerra. I diritti di questo libro sono stati acquistati dal regista Claudio Bonivento che trasformerà l’incredibile storia di Federica Angeli in un film.
Ho avuto il piacere di leggere questo libro proprio in questi giorni, poco prima dell’anniversario della strage di Via d’Amelio e dall’arresto di 37 membri del clan Casamonica a Roma. Devo dire che fa un certo effetto collegare nomi e fatti letti nel diario di Federica Angeli con quelli letti sui quotidiani.
Il coraggio è una scelta.
Il messaggio che ho tratto da questa lettura è che “non esistono eroi”.
La Angeli è una giornalista di Ostia che ha realizzato una serie di inchieste molto scomode proprio nella città dove vive, svelando l’esistenza di ben tre gruppi mafiosi alle porte di Roma, e portando a diversi arresti negli ultimi anni.
Dal 2013 vive sotto scorta, il che significa che non può andare in auto col marito, che non può muoversi quando vuole, che non può neppure seguire il figlio malato all’ospedale, di notte, se “la scorta” non è disponibile. Significa che ovunque vada, soprattutto nella sua città, lei rischia la vita.
Desolante. Una libertà che svanisce all’improvviso e a tempo indeterminato solo per aver fatto il proprio dovere. È così che funziona questo Paese? Ma andare ad arrestare loro e togliere a questa gente la libertà di fare del male non era più facile e meno dispendioso?
Ha tre figli. Da un anno ce l’hanno pure loro, la scorta, e a una mamma questo dovrebbe mettere i brividi al solo pensiero.
Eppure leggendo questo diario-inchiesta ho dovuto rivalutare pesantemente il mio concetto di “eroi”. La Angeli non lo è. Vi spiego, sperando di non annoiarvi con questa divagazione.
Qualche anno fa ho avuto l’occasione di visitare Palermo in un viaggio culturale organizzato da Libera, incentrato sul tema delle mafie e delle terre liberate. Vedere Via d’Amelio, camminare i Cento Passi di Peppino Impastato, visitare un’azienda agricola confiscata a un boss mafioso, respirare quest’aria piena di minacce, pericolo, omertà, ma anche coraggio, lotta, diritti, vedere i giovani che alzano la testa, mi aveva lasciato un senso di orgoglio, di ammirazione, rispetto, ma principalmente una convinzione: chi vive in questi posti, anche se non è Falcone né Borsellino, è un eroe per il solo fatto di doversi misurare con l’illegalità ogni giorno, per il fatto di dover scegliere da che parte stare ogni giorno, per il fatto di combattere la mafia con il senso civico, con un comportamento etico, morale, e legale; qualcosa che “noi al nord” non riusciamo neppure a immaginare.
Non sta ai figli capire i propri genitori e non vi chiederò di farlo mai. Quello che vorrei vi rimanesse di tutto il nostro gioco contro la mafia è il camminare a testa alta, sicuri, fieri, orgogliosi di voi.
Dopo la lettura che ho appena terminato, non sono più sicura di questo. “Noi al nord” non siamo affatto lontani dalla mafia, come Roma e Ostia non lo erano da Reggio Calabria (vedi appunto i recenti arresti dei Casamonica), come non lo è Reggio Emilia da Cutro.
La mafia al nord è più strisciante, sommersa, mascherata da attività più o meno illecite chiamate con nomi meno spaventosi. Noi ci sentiamo al sicuro, ci dimentichiamo che questo problema esista, lo deleghiamo ad altri e smettiamo di informarci, di stare all’erta. Eppure siamo raggiungibili, la corruzione e le reti di potere anti-istituzionali esistono eccome anche al nord. Un favore, un’agevolazione ottenuta aggirando le regole, e che magari un domani richiederà qualcosa in cambio.
Perché il denaro sporco non si può tenere sotto il mattone. E perché per avere il controllo del territorio bisogna che si veda chi comanda. E comanda chi sa ripulirsi, mettersi su piazza esibendo facciate rispettabili messe a guardia di traffici impresentabili.
Di fronte a una minaccia di tipo mafioso, può essere che chi abita in un territorio dove questi sistemi sono noti sappia come muoversi, o abbia nel tempo sviluppato anticorpi sufficienti per non morire terrorizzato. Gli altri come me, come la Angeli, come i commercianti di Ostia, o i sindaci che non hanno la dovuta esperienza, trovandosi difronte a qualcosa che appare così grande, potente e spaventoso, devono muoversi alla cieca, scegliendo se affidarsi alla paura o al coraggio, al buon senso o al senso civico, alla fiducia nelle istituzioni o nascondersi nell’omertà.
Non ci sono soluzioni facili. La Angeli e la sua famiglia rischiano la vita da cinque anni, senza alcuna garanzia che il sistema funzioni (anche se i pronunciamenti ad oggi sembrano incoraggianti).
Lui si parò davanti alla porta. «No. Tu non scendi.»
«Massi, stai scherzando, spero!»
«No. Per niente. Hai visto cosa ha fatto la gente affacciata? È tornata in casa. Hai visto quanta forza hanno gli Spada? E te lo ricordi cosa ti ha detto Armando mentre eri chiusa, sequestrata in quella maledetta stanza? “Contro di noi non vinci.” Quale altra dimostrazione ti serve oltre a quella delle persone che si richiudono in casa per renderti conto che sei sola? Non lo capisci che è tutto molto più grande di te e che non ce la puoi fare a sconfiggerli? Tra pochi giorni esce l’inchiesta e ti togli tutti i sassolini che vuoi, ma ora rimettiti a letto. Sei una mamma, ai nostri figli non pensi?»
Il libro racconta di come a volte si sia sentita sola, come la politica spesso sia connivente, altre volte incurante, in casi fortunati fornisca ottimi supporti a chi si contrappone alle mafie, alle forze anti sistema. Il giornale per cui lavora, La Repubblica, e una rete di amici reali o virtuali le hanno dato la forza per portare avanti questa battaglia che non è solo sua, ma che deve essere collettiva.
Non perdonerò mai la sinistra per aver lasciato campo libero alla destra estrema, la peggiore, che stava costruendo il proprio consenso elettorale con l’aiuto del clan Spada. I legami pericolosi vanno stroncati sul nascere, non quando ormai è troppo tardi. Così non fu.
E qui sta il punto. La mafia non si combatte da soli. È la quantità di gente che si lascia prendere dalla paura che regala loro forza. È la quantità di gente che si volta dall’altra parte che permette loro di prendere il potere. Più “rete” (o “comunità”) si riesce a fare, più anticorpi si sviluppano contro le infiltrazioni mafiose.
Mi facevano tenerezza quelle donne e quegli uomini urlanti che difendevano con tanta passione Roberto Spada contestando l’operato dei carabinieri. Io li avrei abbracciati uno per uno, come fossero degli amanti incazzati e traditi, bisognosi di essere rassicurati, capiti, protetti. Soltanto creando un’alternativa al mondo capovolto degli Spada si restituiva la libertà di scegliere da che parte stare, a quali regole obbedire, a quali valori ispirarsi.
Per questo non ha senso mettere su un piedistallo come “eroi” quelli che combattono per un posto che vogliono chiamare “nostro e non loro”, che pretendono di vivere in un paese in cui i loro figli meritano di stare, quelli che fanno ciò che ognuno di noi… anzi, che tutti, insieme, dovremmo fare.
Non sono una superdonna, né sono dotata di poteri speciali. Ho solo una penna. Quindi se posso farlo io possono farlo tutti. (… )Non voglio il tifo, voglio costruire un noi che si muova compatto. Io la mia parte la faccio e la continuo a fare, ma il cittadino deve stare in squadra con me e metterci del suo. Perché ci credo quando si dice che lo Stato siamo noi e non un loro proiettato come la pellicola di un film, in cui si combattono buoni e cattivi e i cittadini sono spettatori.
“A mano disarmata” è allo stesso tempo, però, anche un racconto intimo delle paure inespresse, della forza che è stato necessario trovare, dell’amore per i propri figli e per il marito. Delle debolezze, delle ingenuità e dei colpi di fortuna. È il racconto di come il mafioso appostato sotto la finestra sia diventato, agli occhi dei bambini, lo spasimante della mamma che faceva ingelosire papà, o di come i bambini non possono andare nel lettone perché la mamma sta andando in pezzi e non vuole mostrarsi a loro.
«Mamma, ho paura.»
«E di cosa, amore?»
«Quello, Spada, quello che stava sempre sotto casa nostra insieme al tuo spasimante… ha fatto uscire il sangue dal naso a uno… gli ha dato una capocciata fortissima. Mamma, ti prego non ci puoi fare la pace?»
Ma è anche quello che un giorno potrebbe essere un memoriale, se le cose non dovessero andare bene (cosa che nessuno di noi si augura, ma che non può essere dimenticato). Un saluto, una spiegazione ai bambini che un giorno cresceranno. Un testimone per tutte le inchieste a seguire, volto a contrastare anche la macchina del fango sfruttata da un avversario che sa usare più di un’arma.
Gli Spada ora sono in carcere, chi ha contribuito alla loro tenuta sociale invece è in libertà. Come a dire: sveglia, perché se arriva, come vuole la logica malavitosa, un altro sodalizio criminale, e se non si rompono questi schemi mentali di assuefazione a una normalità che normale non è, tutto torna come prima. Se esiste il momento di rialzare la testa, di farlo davvero, è questo.