Recensione: “Althea” di Stefania Mortini
Irene, bellissima ma ignara di esserlo, è una ragazza di provincia desiderosa di dimenticare ardentemente il dolore per la perdita del padre.
Il suo trasferimento a Milano muta in un intenso viaggio emozionale alla ricerca di se stessa perché la vita, così come la conosceva, le ha voltato le spalle per lasciar posto all’incertezza data da un vuoto incolmabile.
La permanenza nella metropoli favorisce l’incontro con il conturbante Alberto e la sofferenza tramuta nel desiderio di comprendere il misterioso vissuto di quell’affascinante maschio alfa, diventando lentamente più forte del dolore che la incatena ancora alla morte.
Con l’ausilio di un diario trovato per caso e degli episodi apparentemente fortuiti, da un lato si ritrova a curare il peso che attanaglia il suo cuore e dall’altro inizia a sperare in un sentimento in grado di eclissare il passato. Ma chi è veramente Alberto? Ci sarà mai un futuro per loro?
Milano è la città della perdizione, dove tutto non è mai ciò che sembra e la notte trasforma apparentemente le persone, ammaliate dal gusto della trasgressione nascosta.
Irene è alla ricerca di se stessa, ma rischia irrimediabilmente di spezzarsi per sempre.
Al suo esordio come scrittrice, Stefania Mortini ci racconta la storia di Irene, una ragazza nata e vissuta fino all’età di venticinque anni nella provincia di Piacenza, coccolata e protetta dalla sua amorevole famiglia, la quale gestisce un agriturismo di proprietà da generazioni della famiglia Rubino.
Dopo la morte del padre, che ha combattuto strenuamente contro un tumore fulminante che non gli ha dato scampo, per Irene è impossibile continuare a vivere e lavorare in un ambiente che le ricorda di continuo, e in modo straziante, il suo amato genitore che non c’è più.
Quindi, incoraggiata dalla madre, da cui ha preso sia lo spirito combattivo e l’allegria sia la fisicità delle donne brasiliane, Irene si allontana dal nido domestico per andare a lavorare a Milano come hostess in un locale di prestigio, l’Althea per l’appunto, cominciando così a tagliare il cordone ombelicale dalla sua famiglia, rendendosi indipendente da essa e trasformandosi da ragazza in donna.
Riuscirà a riconquistare una sua stabilità emotiva?
In questo non la aiuterà l’attrazione per un uomo dispotico intimidatorio e cupo, che tra l’altro è il suo capo, con il quale dovrà confrontarsi, ma più precisamente scontrarsi, ogni sera a lavoro e non solo.
Non la aiuterà neanche essere oggetto di stalking da parte di un cliente dell’Althea; insomma la vita a Milano rischia di esserle nociva, più che aiutarla a superare l’angoscia per il grave lutto subìto.
Ma Irene, con la sua caparbietà e la sua voglia di vivere, riesce a superare ogni problema trovando alleati, nonché amici e amiche, fidati: sempre presenti sono i membri della sua famiglia, le sue due coinquiline milanesi, Serena che gestisce l’Althea per conto di suo fratello Alberto (vedi sopra, capo dispotico !), Mohamed il buttafuori del locale in cui lavora, e in ultimo, ma centrale per l’epilogo del romanzo, trova un’amica speciale tra le pagine di un diario del quale furtivamente riesce a leggerne il contenuto.
Non è facile raccontarvi le mie impressioni su questo libro senza spoilerare la trama, e quindi cercherò di non inoltrarmi oltre sulle vicende del romanzo, concentrandomi invece sulle emozioni che mi ha trasmesso: altalenanti, discontinue e opposte.
Cerco di spiegarmi meglio.
La prima parte del libro mi ha lasciato molto titubante perché, se per la protagonista vengono raccontati minuziosamente ogni pensiero ed emozione che l’attraversa, non ho trovato lo stesso riscontro per il protagonista maschile, Alberto.
Sicuramente è una scelta “calcolata ” dall’autrice, per me poco efficace, anzi, rende la figura di Alberto insipida e paranoica.
Io non sono una lettrice “innamorata” o fervente sostenitrice dei Pov alternati, però in questo preciso contesto avrei molto apprezzato il Pov del protagonista maschile per carpirne più profondamente le emozioni e i pensieri e per spezzare la monotonia di 500 pagine e passa tutte riportanti il punto di vista della protagonista (se si escludono i brevi interludi dedicati alle pagine del diario).
Comunque, con l’evolversi della storia, si riescono a capire, o meglio a intuire, molte sfaccettature del carattere di Alberto rendendolo finalmente ai miei occhi il maschio Alfa impavido e passionale, così come ce lo presenta la scrittrice.
La parte centrale del libro è, secondo me, quella più coinvolgente e appassionante, e ci trasporta a vele tese verso un finale che, seppur scontato ci rende felici, ed ha il gusto del riscatto della speranza e dell’amore incondizionato.
Devo segnalare a onor di cronaca alcuni (pochi) refusi che però non sono poi così disturbanti come a mio avviso lo sono l’uso smodato del verbo “costatare”, oppure l’uso di parole forbite alternate a parole di uso gergale tipo ” perculare ” che possono confondere il lettore più esigente perché non riesce così a decifrare lo stile narrativo dell’autrice.
Per concludere, vi lascio due estratti del libro che per me racchiudono l’essenza stessa del libro, il messaggio (credo) che Stefania Mortini vuol far arrivare al cuore del lettore:
“La vita continua col suo percorso prepotente anche dopo ingenti perdite, assoggettando nuovi episodi dirimenti il dolore, ma che ci spingono a non dimenticare mai il fregio della potenza rievocativa. ”
“L’attaccamento alle radici del proprio passato è alleato fidato del fallimento presente e acerrimo nemico della realizzazione futura.”
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