Recensione: “Appennino di Sangue Tre casi per il maresciallo Santovito” di Francesco Guccini Oriano Macchiavelli
Il maresciallo dei carabinieri Benedetto Santovito arriva dal Meridione, ma tra i boschi dell’Appennino emiliano è di casa. Vi è giunto alla fine degli anni Trenta, trasferito d’ufficio per le sue posizioni non proprio favorevoli al regime, vi ha combattuto come partigiano, vi è stato accolto come uno del luogo dalla gente, rude ma dal grande cuore, di quei piccoli borghi. E da questo angolo d’Italia, tra povere case e tavoli d’osteria, diventa testimone della storia del Paese, dell’evoluzione dei costumi, delle ideologie, mentre indaga su misteriosi delitti che a volte affondano le radici in un passato anche remoto. Nei tre romanzi raccolti in questo volume lo vediamo confrontarsi, nel 1940, con le morti successive del maresciallo dei carabinieri che l’ha preceduto, del curato, di un ex emigrante e di un anarchico (Macaronì). E poi, durante gli anni del boom, impegnato a far luce sulla fine di due ragazzi, uno saltato su un ordigno inesploso della Seconda guerra mondiale e l’altro affogato, attribuite dalla superstizione popolare a uno spirito maligno (Un disco dei Platters). Mentre durante gli anni Settanta dovrà ancora risolvere due fatti misteriosi, la morte di un giovane e la sparizione di una studentessa, che scoperchiano un mondo torbido legato agli ambienti della contestazione.
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Il libro, che si sviluppa in 814 pagine, narra in tre episodi distinti di alcune vicende che si svolgono in un periodo abbastanza ampio, che va dagli anni trenta agli anni settanta; il tutto in un piccolo paese dell’Appennino Tosco-Emiliano. Come si presume dal titolo, il personaggio principale è il maresciallo Santovito. A causa delle sue idee non proprio favorevoli al regime, come punizione, è stato inviato dal Sud Italia, proprio in questo piccolo borgo.
Qui combatte come partigiano al fianco della gente del luogo, gente rude ma dal cuore grande che si guadagna il suo rispetto e apprezzamento.
Nei tre episodi Santovito sarà chiamato a risolvere dei misteriosi casi di omicidio che affondano le radici nel passato dei personaggi. Il nostro maresciallo riuscirà anche a intrecciare una storia d’amore con la maestra del paese.
Curiosi personaggi nel corso dei racconti stringeranno legami di riguardo e amicizia con il maresciallo e contribuiranno, insieme a vari aspetti socioculturali dell’epoca, a colorire l’intero libro.
Soprattutto nell’ultimo Guccini riesce egregiamente a mettere in luce la situazione in cui il nostro paese versava nei famigerati anni di “piombo”.
Di tutti e tre, senza nulla togliere agli altri due, quello che mi è maggiormente piaciuto è l’ultimo, molto probabilmente perché il periodo storico è più vicino ai giorni nostri.
Gli anni in cui le contestazioni giovanili erano all’ordine del giorno, del traffico d’armi, del mondo sommerso che riusciva a manipolare gli interessi politici.
Molto bravo l’autore a far trasparire la sua ideologia senza però “fare politica”.
Guccini riesce a far percepire al lettore tutto lo spirito di libertà e pensiero che caratterizzano Santovito, che ne fa di entrambi un ottimo uso, sia nel suo lavoro, sia per costruire rapporti d’amicizia.
Nel corso della lettura veniamo catapultati in un passato, nemmeno troppo remoto, subito dopo il passaggio della guerra con tutte le sue conseguenze; proprio per questo non si può fare a meno di affezionarsi ai personaggi, i quali ci danno una lezione di vita che purtroppo abbiamo dimenticato da molto tempo: non è importante a che classe sociale appartieni, a quanti soldi hai, quello che conta è come ti comporti con gli altri esseri umani.