Recensione “Ayla figlia della terra ” di J.M. Auel (serie I figli della terra #1)
Un improvviso terremoto lascia orfana una bambina di 5 anni, su una terra primordiale popolata da animali giganteschi e feroci. Dopo aver vagato per giorni, Ayla, questo è il suo nome, viene raccolta ferita e quasi in fin di vita da una donna di nome Iza, donna-medicina del Clan dell’Orso delle Caverne. Ayla viene curata e, riprendendo conoscenza, si rende conto di essere stata salvata da un gruppo di Neanderthal, mentre le persone da cui Ayla proviene appartengono alla stirpe dei Cro-Magnon. Con il passare del tempo il Clan diventerà la sua famiglia, ma Ayla non potrà mai dimenticare la sua diversità: lei è bionda, ha gli occhi chiari, pensa in modo completamente nuovo… è una degli “Altri”.
Molte sono le diversità tra il Clan e gli Altri messe in luce durante la storia. L’apparato vocale dei Neanderthal non è in grado di riprodurre i complessi e articolati suoni emessi dai Cro-Magnon, e per questo motivo hanno sviluppato un complicato sistema di comunicazione gestuale, composto da pochi suoni e caratterizzato principalmente da segni con braccia e mani. Allo stesso tempo i Neanderthal hanno quelle che nel libro vengono definite le “memorie”, un vero e proprio bagaglio di conoscenze con cui ogni piccolo viene messo al mondo: i membri del Clan non devono imparare nulla di nuovo, semplicemente devono andare ad attingere dai propri ricordi sopiti, accedendo all’esperienza che le generazioni prima di loro hanno accumulato.
Durante la sua crescita, Ayla infrange molte delle usanze del Clan, proprio perché la sua forma mentale è radicalmente diversa da quella delle persone che l’hanno accolta: Ayla è curiosa, in grado di imparare, continuamente propensa a porsi domande. Ed è così che osservando segretamente gli uomini riesce a imparare a usare una fionda meglio di qualunque di loro. Le rigide tradizioni della tribù impongono alle donne il divieto assoluto di maneggiare armi ma per Ayla viene fatta una parziale eccezione e le viene per questo attribuito il titolo di Donna che Caccia.
Nonostante Ayla cerchi con tutte le sue forze di farsi accettare però, alla fine non ci riuscirà; la sua diversità e l’odio che suscita in alcuni membri della comunità la costringeranno infine ad abbandonare l’unico luogo che ricorda come casa (dopo la morte di Iza e di suo fratello Creb noto come Mog-ur, lo sciamano del Clan), lasciando il figlio tanto amato e allontanandosi verso un’altra strada.
Lei, donna, diversa, è la prescelta dal destino e nel suo sangue scorre il futuro dell’umanità.
“Ayla figlia della terra” è il primo della saga composta da sei volumi ‘I figli della terra’.
Uscito nel 1980 rimane ancora un capolavoro della letteratura che si legge tutto d’ un fiato; nato come libro fantasy storico, in realtà viene considerato come una possibile fotografia di come vivevano i clan nella preistoria, in particolar modo le donne. Anche se tutta la narrazione è romanzata, l’autrice, per documentarsi, ha fatto numerosi studi sull’epoca in cui è ambientato il libro, e ha partecipato a dei corsi di sopravvivenza per vivere nelle caverne, attenendosi il più possibile alle realtà storiche senza farlo diventare un trattato di paleontologia.
Nel primo romanzo conosciamo Ayla, una bambina della popolazione dei Cro-Magnon che viene salvata dalla famiglia di Iza, la donna-medicina del clan delle caverne (Neanderthal).
Ed è proprio Ayla a essere la protagonista di questa serie. Attraverso i libri cresciamo con lei, ci innamoriamo, soffriamo e apprendiamo le conoscenze che hanno fatto diventare gli uomini preistorici più intelligenti.
Nel primo libro viene approfondita la conoscenza di Ayla, il suo carattere e la sua voglia di cambiare e migliorare la sua vita e il suo status, impegnandosi a diventare una donna medicina, indispensabile per il suo popolo.
La Auel, oltre ad avere creato un personaggio talmente vivido che occupa i nostri pensieri anche se abbiamo finito di leggerlo da diverso tempo, – si ricorda anche negli anni, credetemi! – affronta il mondo dello sciamanismo in maniera suggestiva, senza la freddezza scientifica con cui normalmente verrebbe scritto in un trattato di antropologia.
Assolutamente un capolavoro, forse il miglior libro che abbia letto in diversi anni.
recensione a cura di
05