Recensione: “I cercatori di ossa” di Michael Crichton
1876, stato del Wyoming: Cheyenne è l’ultimo baluardo della Frontiera, da dove cercatori d’oro e cacciatori di taglie partono per attraversare le terre dell’Ovest, le temibili Bad Lands, infestate da fuorilegge e indiani Sioux. Durante la notte da un treno vengono scaricate misteriose apparecchiature, sotto lo sguardo attento e determinato di un elegante uomo di città. È il professor Othniel C. Marsh, paleontologo e direttore di un’importante spedizione scientifica che promette di sconvolgere il mondo intero portando alla luce il primo fossile di dinosauro che la storia ricordi. Tra gli studenti al seguito di Marsh c’è William Johnson, ventenne rampollo di buona famiglia e fotografo in erba che, aggregatosi alla spedizione all’ultimo minuto, intende così onorare una scommessa in tutta comodità. Ma si sbaglia. Quello che Marsh e i suoi stanno cercando è talmente eccezionale che da Philadelphia un’altra missione scientifica si è già messa sulle loro tracce, capitanata dal professor Edward C. Cope. Incalzato dalla rivalità con l’avversario, Marsh rivela presto la sua vera natura, dimostrandosi disposto a intimidire e corrompere pur di dare il proprio nome alla più grande scoperta del secolo. E quando entrambe le spedizioni restano senz’acqua e senz’armi a centinaia di miglia dal mondo civilizzato, Cope e Marsh scomparsi senza lasciare tracce, William si trova a essere l’involontario protagonista di questo scontro tra spregiudicati esploratori che cambierà la sua vita.
Se leggendo “dinosauri” e “Michael Crichton” nella stessa frase, state già pensando a voraci creature e isole in CostaRica, devo farvi ricredere immediatamente: in “I cercatori di ossa” i nostri lucertoloni sono ancora assolutamente estinti!
Tuttavia questo romanzo non delude affatto ed è avvincente quanto Jurassic Park, seppure in modo diverso.
In definitiva ci racconta un viaggio, sia in senso fisico, perchè la spedizione lascia la tranquilla placidità dell’Est per le selvagge pianure dell’Ovest, ma soprattutto in senso metaforico, perchè in queste pagine un ragazzo diventerà un uomo.
Alla partenza William Johnson ha vent’anni ed è il viziato, sventato ed immaturo figlio di un ricco magnate, che sfascia yacht, non prende nulla sul serio, e si imbarca in questo viaggio di istruzione alla ricerca di ossa fossili al solo scopo di vincere i mille dollari di una scommessa.
Tuttavia i mesi di dura vita all’aperto, di faticoso lavoro e la necessità di salvarsi la vita, lo costringeranno a mostrare di che pasta è fatto, e il giovane uomo che scopriremo sarà un uomo con la U maiuscola.
Non perchè riuscirà a sopravvivere a un attacco indiano, non perché viaggerà per una settimana con i cadaveri di due compagni di spedizione allo scopo di dargli una degna sepoltura, e nemmeno perché affronterà a testa alta pistoleri e banditi, ma perché avrà imparato a tener fede ad un impegno preso, non importa quanto sciocco gli sembri quell’impegno!
Perché lui non è un paleontologo, e delle ossa che si porta appresso e che gli fanno rischiare la vita non gli importa proprio nulla, ma per loro sono morti tre uomini e lui ha deciso di portarle indietro a qualsiasi costo.
A contorno di questa storia mai banale, troviamo proprio tutti i baroni dell’epopea western: dall’appena deceduto generale Custer, al suo mortale nemico Toro Seduto, dai fratelli Earp a Calamity Jane, con tanto di frecce volanti, minatori, duelli e attacchi alla diligenza.
Personalmente l’ho trovato un prodotto molto godibile, storicamente piuttosto curato, divertente e ben scritto, che poteva lasciar presagire i futuri successi del compianto Michael Crichton, di cui questo è un libro postumo.
Pertanto, come sempre, vi auguro buona lettura!