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Recensione: “Il duca di ferro – The iron duke” di Monica Serra

Doppia lingua, italiano-inglese.

Una missione top secret, un sanguinoso agguato e una ferita mortale travolgono Henry C. Demison, duca di Sharp, ufficiale dell’esercito britannico. Con un audace esperimento, lo scienziato Boyle gli salva la vita e lo consegna a notti dissolute, incubi, carne e metallo.
Quando Sharp viene chiamato a recuperare i documenti nascosti in territorio francese prima di essere ferito, il destino lo fa imbattere nelle sorelle Finnegan. Un inaspettato scambio di persona sconvolge i piani del tormentato duca, risucchiandolo in un tragico epilogo. O si tratta forse di un nuovo inizio?

Double language, English-Italian.


A top secret mission, an ambush and a deathly injury devastate Henry C. Demison, duke of Sharp, Britain’s high official.
Through an audacious experiment, the scientist Boyle saves his life, thus transporting him into lascivous nights, fears, body and metal.
When Sharp is told to recuperate the documents he had hidden in France, just before being injured, destiny makes him meet the Finnegan sisters.
An unexpected change of person subverts the duke’s plans, throwing him into a tragic epilogue.
Or, rather, a new beginning?

Questo libro è un prodotto molto particolare: contiene lo stesso racconto nelle due versioni, italiano e inglese.

È una premessa importante, perché un lettore non attento alla scheda del libro potrebbe rimanere spiacevolmente sorpreso della brevità del testo.

Il racconto, nelle sue poche pagine, riesce comunque a toccare molti tasti.

Il duca Henry C. Demison, eroe di un’Inghilterra vittoriana in cui la presenza di navi volanti è normale, ha pagato a caro prezzo la sua ultima missione: con una parte del suo corpo e forse della sua anima.

Osservò la figura snella riflessa nel grande specchio incastonato tra legno e ottone, sulla parete della sala in cui si prendeva cura del suo segreto. “Henry C. Demison, duca di Sharp. Metà uomo, metà macchina”. Un mostro deforme, per chi si fosse soffermato sul suo aspetto. Un’anima sofferente, per chi fosse riuscito a scrutare in profondità attraverso le finestre scure del suo mondo interiore.

Ridotto a sopravvivere, più che vivere, il duca ritrova l’entusiasmo quando viene richiamato per portare a termine la missione iniziata anni prima.

I richiami con il Frankenstein di Mary Shelley sono evidenti, anche per l’abbondante presenza di citazioni dell’autrice e seppure in poche pagine, la solitudine dell’uomo che vede se stesso come mostro arriva al lettore con forza, fino al finale poetico e drammatico allo stesso tempo.

La scrittura è bellissima, con il suo armonioso mix di storico, vittoriano e di fantascienza e in poche sapienti pennellate disegna con chiarezza i caratteri del protagonista e delle due dame che entrano nella sua vita, così diverse, così vere, e coinvolge il lettore nelle atmosfere londinesi vittoriane, ma non solo.

L’idea, poi, di avere il racconto anche in inglese potrebbe essere un utile stimolo per un lettore, non abituato a leggere in lingua, a cominciare: avendo fresco in mente il racconto appena terminato in italiano, capire il testo nell’ altra versione diventa molto più facile.

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Voto Lucrezia 4

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