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Recensione: Houserath. La clinica delle anime morte di Sabia Eileen

 

Inghilterra XIX Secolo
Houserath è uno sperduto istituto per igiene mentale che viene definito da tutti la clinica delle anime morte, perché dalle porte di Houserth nessuno esce più se non dopo essere morto. Ma in fondo un manicomio è un manicomio e una volta varcata la sua soglia i pazienti vengono dimenticati, dai propri cari, dalla società, dal mondo.
Il dottor William Watson è una delle menti più brillanti della medicina, specializzato nello studio della psiche e dei suoi segreti. Uomo rigido, preciso e ordinato, da dieci anni svolge il suo lavoro a Londra ma con stupore di tutti accetta l’incarico di direttore di Houserath, di quella clinica immersa nell’isolata campagna, circondata da foreste ma sufficientemente vicina al mare da sentire il suo feroce urlo che straccia il silenzio delle notti.
Evelyn Watson, la giovane figlia del dottore, è costretta a seguirlo abbandonando le comodità della città e le speranze di trovare un buon marito. Evelyn, orfana di madre da quando era bambina, non ha più nessuno a parte suo padre, non può opporsi alla sua decisione e deve accettare di seppellirsi in quel luogo dimenticato dal mondo.
Gemiti angoscianti, urli agghiaccianti e misteriosi segreti si celano all’interno delle tetre mura di quella clinica e non tardano a disturbare i sonni della ragazza che si ritrova presto preda di incubi e paure a cui non sa dare né un volto né un nome. Fino al momento in cui Evelyn decide di scoprire cosa davvero si nasconde dietro quel pesante portone di metallo sempre serrato e impossibile da valicare se non dal personale della clinica o da suo padre.
Ma lei non sa che una volta varcata la soglia di Houserath bisogna essere pronti a scoprire cose che potrebbero sconvolgere anche la mente più equilibrata. Perché a Houserath il confine fra il dentro il fuori è talmente labile da far dimenticare sovente chi siano i pazzi e chi i sani di mente. Perché la clinica delle anime morte potrebbe essere lo specchio che riflette ciò che si cela nel nostro animo più profondo, ciò che ci ostiniamo a ignorare o fingere di non vedere perché troppo spaventoso da accettare…

 

Quando James Declan fu ricoverato a Houserath aveva da poco compiuto i quindici anni ed era stato considerato pazzo.

Aveva l’intelligenza di un genio, la fantasia di un narratore, la sensibilità di un poeta ma vedeva cose che nessuno riusciva a vedere e sentiva voci che nessun altro riusciva a sentire.

Perciò era pazzo.

Una novella horror inquietante.

È trascorso molto tempo dalla lettura di qualcosa che avesse quello spirito macabro e cruento capace di farmi accendere la luce durante le ore notturne, proprio quando mi dedico a un romanzo. L’autrice ha reso una storia, seppur semplice e breve, un vero libro di paura. La trama è talmente realistica che potrebbe tranquillamente essere tratta da una storia vera dell’epoca, quando i famosi manicomi erano ancora in auge e ritenuti istituti di cura per anime smarrite nei meandri di una mente complessa e diabolica.

Siamo nell’Inghilterra del XIX secolo e il Dr. Watson, promettente medico esperto nella cura di persone con patologie psichiatriche, inizia a lavorare a Houserath, istituto nel quale sono rinchiusi da tempi indicibili i cosiddetti pazzi. Il nostro psichiatra, serio e ligio al suo dovere, proverà ogni mezzo per curare la mente di questi esseri abbietti ormai dimenticati dal mondo dei vivi. Insieme a lui c’è sua figlia, Evelyn, una giovane fanciulla in età da marito, che viene costretta a seguire il padre in questo luogo ai limiti della civiltà umana.

Houserath non è solo un istituto, ma è un mondo in cui nefandezze e orrori si nascondono dietro le celle, in cui i pazienti vengono costretti di giorno e di notte. Tutti sono rinchiusi, non vi è modo per fuggire, nemmeno una via d’uscita.

Gemiti, grida, un liquido cremisi spurga ogni notte dal manicomio… chiede vendetta e sangue per il male subito.

Nella stanza 17 qualcuno nell’ombra aspetta, da molti anni.

Il richiamo di Houserath non tarderà a chiamare a sé l’attenzione della giovane Evelyn che una notte, spinta dall’impulso di conoscerne i segreti, deciderà di entrare nell’istituto, disobbedendo così al padre. Non poteva immaginare quello che stava per scoprire.

Una favola con toni dark, tetri, dove i buoni e i cattivi stravolgono l’ordine naturale delle cose, i vivi e i morti non sono quelli che ci aspettiamo. Una novella in cui emerge la vera natura umana, nichilista. E, quando nulla ha un senso, non può che infonderci paura, perché sappiamo che quella potrebbe davvero corrispondere alla realtà.

Scrittura veloce, concisa e diretta, l’inquietudine mi ha catturata subito, ho amato James, fin dalle prime righe della storia, lui è un’anima sfortunata rinchiusa nell’istituto, costretto ad assistere, inerme, poi… una via di fuga, che fuga non è.

Il libro è onesto fin dalle prime righe, e avvisa il lettore che, se è debole di cuore o è in cerca dell’happy ending, questo libro non fa per lui!

E io non posso che essere d’accordo, davvero una bella storia, senza troppi particolari, ma già solo le scene e la trama lineare ti spingono a sentire i rumori nel buio e ti accelerano il battito cardiaco, quindi cosa aspetti a far esplodere il tuo corpo di pura adrenalina?!

 

 

 

 

 

 

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