Recensione: “Il Padrone Oscuro. Il Grimorio Maximus” di Tania Mengoli
Titolo: Il Padrone oscuro
Autore: Tanja Mengoli
Editore: ode edizioni
Genere: Urban fantasy
Pagine: 300
Data di pubblicazione: 15 dicembre 2021
«Non sono io il cattivo» sibilò lo sconosciuto al suo orecchio.Un pericoloso manoscritto è stato rubato dalla sede centrale della Tirannide, un’organizzazione mondiale che vigila sugli essere umani e non.
Jacob Cavanon I è un Giustiziere che milita fra le sue fila da quasi duecento anni, dà la caccia a tutti coloro che violano le regole.
Febe Ferrari è una donna esuberante e solare, ma è anche una strega che ha deciso di allontanarsi dal mondo delle Congreghe. Tuttavia, sa di non poter sfuggire al proprio destino.
Jacob e Febe si troveranno ad affrontare nemici potenti, verità a lungo taciute, segreti di famiglia e obblighi dal sapore antico, mentre saranno impegnati ad affrontare le proprie paure, i propri demoni e la passione crescente che li attrae implacabile.
Care Fenici, Il Padrone Oscuro è un urban fantasy in cui ritroviamo uno schema ormai collaudato nel genere. C’è un’associazione, la “Tirannide”, che ha il compito di controllare il rapporto fra umani e non umani, vegliando affinché questi ultimi non possano nuocere agli altri. Ha un sistema piramidale, per cui la sua lunga mano è costituita da Osservatori, Mediatori e Giustizieri, che hanno il compito di perseguire e catturare coloro che attentano alla vita della razza “debole”.
Il libro si apre con un flash back che ci porta nelle campagne scozzesi del 1799, ove incontriamo una coppia, lui demone lei strega, che viene attaccata dagli abitanti di un villaggio, costringendo il demone a sacrificarsi per salvare la vita della compagna e del loro bambino.
Dopo questa breve parentesi veniamo riportati ai giorni nostri, dove troviamo il mezzo demone, Jacob, cresciuto e intento a servire la Tirannide nel ruolo di Giustiziere. Mostra sin da subito alcune peculiarità, come il suo rifiuto categorico di avvalersi dei Mediatori nello svolgimento del suo lavoro.
Parallelamente conosciamo Febe Ferrari, che vive e lavora a Firenze, facendo la cameriera in un Burlesque club e la commessa in un’erboristeria; è una giovane strega dai capelli candidi come il suo animo.
La trama si metterà in moto con il furto, da parte di un misterioso antagonista, di un potentissimo libro. L’evento porterà i due a incrociare le loro strade, costringendoli a fare i conti con il passato e le loro essenze.
I personaggi sono diversi, alcuni di mero sfondo altri fondamentali allo sviluppo della vicenda. Vi sono Margaret e Mason, i due abitanti della magione di Jacob, vampiri facenti il ruolo di servitori. A mio avviso sono il primo punto negativo del romanzo: il loro parlare arcaico e l’essere smielati mi hanno fatto rimpiangere i Vampiri di una volta, da quelli maledetti e senza anima, sino a quelli immensi e dannati della Rice.
Abbiamo Astra, il capo di Jacob. Teoricamente il suo è un ruolo di fermo comando, ma a me ha ricordato tanto Edna degli Incredibili, più che una potente strega; ho persino letto i suoi dialoghi con la voce della stilista!
Poi vi è la Congrega delle streghe di cui fa parte la famiglia di Febe e che ha a capo, stranamente, il padre della ragazza. Lei, dal canto suo, ha saggiamente deciso di allontanarsene a gambe levate; i suoi, infatti, appaiono anaffettivi e insignificanti sino al finale, dove si redimono facendo rimpiangere la loro presunta cattiveria inziale.
Degni di nota sono i due antagonisti, Calog e Sabina; palesandosi, i due scaraventano il mezzo demone nel suo oscuro passato, ma nemmeno loro riescono a essere totalmente incisivi, così la tensione va via via scemando, fino a quando Febe redime persino un loro tirapiedi.
Nel complesso l’idea di base del romanzo è pregevole, ma il buonismo, che si disvela nel romanticismo e in psicodrammi melensi, non riesce proprio a farmelo digerire. È un romanzo giovane e forse per questo un po’ distante dalle mie corde. Sicuramente è interessante notare come l’autrice abbia attinto alla mitologia del daimon, inteso come demone in senso pre-cristiano e, quindi, scevro di quell’accezione puramente negativa che gli dà la letteratura religiosa.
Che dire? Non lo so, sono combattuta. A tratti l’ho amato, ad altri ho trovato davvero difficile riprenderlo e concluderlo. Molto belle sono le scene d’azione che, devo dire, sanno alzare il livello, tuttavia le ho trovate davvero troppo in conflitto con la vena romantico-buonista che percorre il romanzo. Con questo non intendo stroncare la lettura, anzi. Semmai voglio evidenziarlo per quante di voi che, pur non amando l’horror, non disdegnino il romanticismo con venature drammatiche.