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Recensione: “Il racconto dell’ancella” di Margaret Atwood serie The Handmaid’s Tale#1

In un mondo devastato dalle radiazioni atomiche, gli Stati Uniti sono divenuti uno Stato totalitario, basato sul controllo del corpo femminile. Difred, la donna che appartiene a Fred, ha solo un compito nella neonata Repubblica di Galaad: garantire una discendenza alla élite dominante. Il regime monoteocratico di questa società del futuro, infatti, è fondato sullo sfruttamento delle cosiddette ancelle, le uniche donne che dopo la catastrofe sono ancora in grado di procreare. Ma anche lo Stato più repressivo non riesce a schiacciare i desideri e da questo dipenderà la possibilità e, forse, il successo di una ribellione. Mito, metafora e storia si fondono per sferrare una satira energica contro i regimi totalitari. Ma non solo: c’è anche la volontà di colpire, con tagliente ironia, il cuore di una società meschinamente puritana che, dietro il paravento di tabù istituzionali, fonda la sua legge brutale sull’intreccio tra sessualità e politica. Quello che l’ancella racconta sta in un tempo di là da venire, ma interpella fortemente il presente.

1-Il racconto dell’ancella

2- I testamenti

 

La normalità, diceva Zia Lydia, significa ciò cui si è abituati. Se qualcosa potrà non sembrarvi normale al momento, dopo un po’ di tempo lo sarà. Diventerà normale.

Il racconto dell’Ancella è ambientato in un mondo distopico in cui si ipotizza un colpo di stato da parte di integralisti che esasperano le posizioni religiose.

È un mondo che fa sintesi di moralismo, modalità di gestione delle masse e di psicologia sociale in atto realmente nel mondo odierno o realmente verificatisi in passato nella civiltà umana.

Partendo da presupposti legati alla sicurezza della donna, alla preservazione della maternità e al rispetto delle diversità biologica, nella società di Galaad si è raggiunta una disparità di genere e una distinzione in caste molto rigida. Un governo di tipo monoteocratico militarizzato e piuttosto violento che ricorda lo stato islamico nei territori dell’ISIS, in cui ognuno vive nel terrore di essere tradito da altri disperati per ottenere vantaggi o per salvarsi a loro volta.

Una società difficile per uomini e donne, ma per queste ultime in modo particolare: relegate a una posizione subalterna, private della scolarizzazione, dei diritti, del lavoro e delle proprietà, e, per finire, anche dell’identità, hanno un puro ruolo di incubatrice, e arrivano a poter essere genitrici solo se fanno parte della casta più alta.

Non è facile per nessuno vivere in un mondo integralista ed essere obbligati solamente a procreare limitando i propri impulsi, ma il sacrificio maschile (a cui, peraltro, la casta dominante può permettersi di venir meno) è niente rispetto a quello delle donne.

Il romanzo mostra chiaramente come, alla fin fine, tutte le donne, qualsiasi sia il ruolo assegnato, si trovino in una condizione disperata: che siano le mogli sterili degli uomini di potere a cui vengono affiancate le ancelle incubatrici; che siano le ancelle costrette a essere invisibili e usate solamente per il loro utero; che siano le schiave tuttofare di casa; che siano le “NON-donne” esiliate al confino a raccogliere materiale radioattivo; che siano le ribelli relegate al mercato nero e utilizzate come prostitute. In questo sistema sociale, le donne sono solo “mogli-di” o “donne-di”. I loro nomi, infatti, sono dei patronimici che richiamano il nome del marito: la protagonista si chiama infatti DiFred.

L’aspetto che più di ogni altro mi ha colpito è stata la grande capacità di leggere le dinamiche sociali di massa: come abbiamo già visto nel nostro passato recente (che sia il fascismo o la teocrazia Iraniana), le rivoluzioni non avvengono quasi mai da un giorno all’altro, spingendo le persone a schierarsi per il bene o per il male. Nei racconti dell’ancella si è arrivati al mondo distopico tramite piccoli passi che hanno smantellato, via via, il nostro quotidiano, portando la gente ad accettare piccoli cambiamenti che si sono trasformati col tempo in un epilogo tragico. Si è fatto leva sull’indifferenza, sulla capacità di adattamento, sull’ottimismo e sul lasciar correre. L’incapacità di opporsi al moralismo e alle leggi che limitano la libertà di una certa parte di popolazione rischia inevitabilmente di portare a uno scivolamento verso la distopia.

Uno dei concetti che passa è che, messi alle strette, è difficilissimo essere eroi quando viene messa in pericolo la nostra sopravvivenza, e talvolta essere eroi significa cercare di fare solo il meno peggio. È difficile ribellarsi a un potere forte, e per istinto di sopravvivenza l’essere umano è predisposto ad adattarsi, a cercare di scusare, di trovare una giustificazione, di trovare il lato positivo, di trovare il piccolo spazio di libertà che consente di agire a proprio favore, anche nelle difficoltà. Non è quindi solo un immobilismo per disperazione, per paura, per costrizione, ma anche per ottimismo, per speranza, perché si ha bisogno di sentirsi all’interno di un sistema che non si sta dimenticando di noi.

Il racconto dell’ancella non solo, quindi, è una storia sulle donne, ma anche un romanzo sociologico, che unisce il peggio di ciò che l’uomo ha fatto e sta facendo alle donne dalla notte dei tempi a oggi, partendo dalla Bibbia.

La narrazione è riflessiva, lenta ma progressiva, sempre più torbida e sconvolgente. Alterna ricordi della vita di Difred (quando ancora le donne erano libere e in possesso di pari diritti) alle pagine di diario in cui si racconta nella sua nuova veste di ancella, timorosa di essere scoperta a fare qualcosa di sbagliato e quindi di essere punita, incapace di fidarsi di chiunque.

Una lettura che fa meditare e che consiglio, per essere consapevoli che le battaglie contro la discriminazione o per i pari diritti non sono cosa obsoleta né inutile.

La mia nudità comincia ad apparirmi strana. Il mio corpo sembra appartenere a un’altra epoca. Ho davvero indossato costumi da bagno, in spiaggia? Sì, senza pensarci, senza darmi pensiero che le mie gambe, le mie braccia, cosce e schiena fossero in mostra, venissero guardate. Svergognata, impudica. Evito di osservare il mio corpo, non perché pensi che sia svergognato e impudico, ma perché non voglio vederlo. Non voglio vedere qualcosa che mi definisca così completamente.

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