Recensione: “La Donna del Bosco” di Hanna Kent
Buongiorno carissime fenici, oggi la nostra Francesca ci racconta il libro “La Donna del Bosco” di Hanna Kent
Irlanda, Contea di Kerry, 1825. Una fatalità, una disgrazia, un dispetto delle fate: tutto può essere successo al piccolo Micheál, che a quattro anni non si muove più, colpito da una paralisi inspiegabile che spaventa chi lo incontra e fa mormorare di rapimenti, di creature del bosco maligne e dispettose, di peccati e di punizioni. Tra le strade polverose del piccolo paesino di campagna dove Nóra, sua nonna, cerca di tirarlo su, in un mondo dominato dalla superstizione e dalla paura più che da qualunque altra cosa, un bambino diverso come Micheál è un bambino che le fate hanno scelto per i loro scherzi cattivi.
Le stesse fate che possono essere buone, malvage, leggere o fatali a seconda del loro capriccio. Ma Nóra è decisa a salvare il suo nipotino: insieme a Mary, la ragazza che la aiuta a occuparsi di Micheál, l’unica a non provare repulsione per quella strana crea-tura, cercherà in tutti i modi di curarlo, confrontandosi con le inumane credenze popolari e i pregiudizi feroci della religione, e infine approdando a Nance, la donna del bosco. L’unica a essere in contatto con le creature che possono aver fatto del male a Micheál, sostituendolo con il “mostro” che è diventato adesso…
In un romanzo potente e pieno di atmosfera, Hannah Kent racconta lo scontro tra ragione e superstizione, ricreando, senza giudizi, un mondo che vive di leggi proprie, pericolosamente dominato dall’irrazionalità, dove le fate e gli elfi sono, per gli uomini, imperscrutabili compagni di viaggio.
Le credenze popolari sono davvero difficili da estirpare, soprattutto in determinati periodi storici. Questo è un libro davvero agghiacciante, che ci fa capire quanto il diverso non sia mai stato accettato, né dall’uomo né dalla natura; fa riflettere su moltissimi temi, ma in particolare è tratto da un reale infanticidio accaduto nel 1826.
Ci troviamo in Irlanda, nella contea campagnola di Kerry, alle prese con una donna di nome Nora che si trova a dover crescere, dopo la prematura morte della figlia Johanna, il nipote Michael, un bambino di quattro anni incapace di muoversi e parlare.
Il medico crede sia affetto da cretinismo, così come anche il prete della contea, ma Nance Roche, la guaritrice pagana del posto, pensa sia un changeling, un bambino rapito tempo addietro dagli esseri fatati e che lo hanno fatto diventare il mostro che è adesso. Lei ha la conoscenza donatale dal Buon Popolo, che le permette di guarire qualunque male, sia che derivi dal corpo, sia che derivi dagli esseri fatati.
Nora vuole a tutti i costi salvare questo bambino, soprattutto dopo tutte le sventure successe alla valle e la morte prematura del marito avvenuta sul crocevia del Buon Popolo. Gli esseri fatati dimorano sotto al biancospino, dove c’è la tomba del piper. Le persone credono sia lui la causa di tutte le disgrazie, colui che porta il male ai campi e agli animali, colui che non fa produrre né latte né burro. Accanto a Nora, troveremo Mary, l’unica persona che non ha repulsione verso Michael e che non lo crede portatore di sventura.
L’ignoranza fa agire le persone in modo sbagliato, soprattutto in un periodo storico così delicato, quando streghe, guaritrici e possibili fattucchiere venivano impiccate solo per essere riuscite a guarire un raffreddore con le erbe.
A parer mio quest’autrice ha un dono incredibile! È riuscita a ricreare da zero un’ambientazione talmente realistica da riuscire a scorgerla davanti agli occhi mentre leggi, ma sprecialmente a creare un mondo fantastico partendo da un reale e brutale fatto di cronaca. Troviamo ben divise due realtà: da una parte l’autentica conoscenza, fatta di filosofia, scienze e studi; dall’altra troviamo le credenze popolari, le fate e l’irrazionalità di chi non ha potuto studiare. Ricchi “contro” poveri, credenze popolari contro scienza.
La scrittura è molto fluida e i personaggi sono molto ben caratterizzati; ognuno di loro è descritto accuratamente ed è facile affezionarsi a un personaggio piuttosto che a un altro.
Mi è piaciuto molto l’intersecarsi di termini irlandesi all’interno delle righe in quanto vengono spiegati e tradotti, permettendoti di capire appieno la storia, e se qualche termine non è comprensibile, alla fine del libro troviamo un glossario riassuntivo.