Recensione: “La favola che non ti aspetti” di Fabiola D’amico
Adam è il principe reggente del principato di Elnovia, un’isola nel mare Adriatico. Sua moglie è morta da quattro anni, lasciando un figlio dalla salute molto cagionevole. Tutti lo incalzano perché si sposi di nuovo, ma Adam è troppo legato al ricordo della moglie per pensare di innamorarsi ancora. Così accetta di farsi aiutare da un team di psicologi a trovare la principessa perfetta. Melissa ha trentacinque anni, ama mangiare e non nasconde le sue forme gentili. È un’insegnante e, avendo alle spalle due relazioni disastrose, è convinta di non essere in grado di scegliere da sola l’uomo che potrà renderla felice. Su suggerimento di un’amica, decide quindi di iscriversi al programma “Matrimonio al buio”: si tratta di un esperimento che prevede che sia un gruppo di psicologi a selezionare per i partecipanti il consorte ideale. Se dopo una frequentazione di poco più di un mese i due candidati risultano compatibili, si pronuncia il fatidico sì. Qualcosa, però, va storto e Melissa si troverà a dover fare i conti con qualcuno con cui non è in buoni rapporti. Ma si sa, l’odio e l’amore sono due facce della stessa medaglia e spesso il più agguerrito dei rapporti può trasformarsi in una bellissima favola.
“È esaltante perché questo è un angolo di mondo in cui non si aggira il fantasma di Julienne. Be’, non è proprio esatto, lei è sempre tra di noi, ma almeno non devo chiedermi se mi sono seduta nello stesso posto in cui una volta si era seduta lei.”
Melissa è una trentacinquenne che ancora non ha trovato la sua dolce metà. Adam è un principe prematuramente rimasto vedovo, con un figlio problematico e la necessità di avere un altro erede maschio. Rassegnati all’impossibilità di trovare l’amore, entrambi decidono di partecipare a un reality per contrarre matrimonio con il partner ritenuto ideale dagli organizzatori.
Si tratta di una commedia romantica, idea che cinematograficamente è stata ripresa più volte e che vede come protagonisti un principe azzurro e una ragazza comune.
Melissa ha un carattere forte, un po’ sopra le righe, ironica, a tratti tagliente. Molto aperta, tuttavia fatica a fidarsi degli altri e li giudica in modo affrettato.
Sotto la scorza e questa acidità che tira fuori fin da subito nei confronti di Adam, a causa dei pregiudizi che nutre nei suoi confronti, ha un animo altruista e dedito all’aiuto degli altri: è infatti una maestra di sostegno e nasconde grandi capacità empatiche, come quella di intuire la paura di abbandonarsi e l’ansia da prestazione. Sono proprio queste doti che, mescolate alle strategie giuste per assecondare, mettere a proprio agio, guidare silenziosamente i bambini traumatizzati o autistici, saranno in grado di aiutare anche Adam a lasciarsi andare, a superare la rabbia e il senso di colpa per essere sopravvissuto alla giovane moglie Julienne, e ad abbracciare di nuovo la vita.
Adam si mostra da subito come un principe azzurro gentile, delicato e “cortese”, nel senso più propriamente cavalleresco. Il livello di testosterone è decisamente basso, e la sua educazione nobile lo ha portato a un grado di controllo delle emozioni tale da cementare una maschera di cera impermeabile alle emozioni. Sarà solo grazie a Melissa se riuscirà a sciogliersi, e lo farà nel rispetto del dolore per la persona amata che non c’è più, ma accettando, allo stesso tempo, il desiderio di voler vivere e amare.
È una favola che funziona, molto romantica ma allo stesso tempo anche pepata, per via del caratterino di lei.
Non ho apprezzato molto l’uso dei personaggi secondari come portavoce delle varie coscienze di Melissa, che a tratti “spiegavano” alla lettrice le varie anime che combattevano nella sua testa, la sua indecisione su cosa fare; tuttavia la ritengo una buona favola da ombrellone.
Le faccio scivolare una mano sul fianco, lei sussulta.
«Solletico?»
«Un po’».
«Lo soffro anch’io», ammetto, prima di baciare la pelle sotto il seno piena di gocce che il sole sta già asciugando.
Ha un profumo inebriante. Cocco e vaniglia.
«Adam, se non vuoi che me ne esca con un’altra scemenza, concludiamo. Così è una vera agonia».
«Ti credevo una donna paziente», replico, sfiorandole un seno e guardando come reagisce al mio tocco.
«Ho avuto fin troppa pazienza. Ti do cinque minuti, poi mi prendo Priapo e non garantisco nulla».