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Recensione: La Memoria rende liberi di Liliana Segre e Enrico Mentana

Review Overview

Voto di Bea

“Un conto è guardare e un conto è vedere, e io per troppi anni ho guardato senza voler vedere.” Liliana ha otto anni quando, nel 1938, le leggi razziali fasciste si abbattono con violenza su di lei e sulla sua famiglia. Discriminata come “alunna di razza ebraica”, viene espulsa da scuola e a poco a poco il suo mondo si sgretola: diventa “invisibile” agli occhi delle sue amiche, è costretta a nascondersi e a fuggire fino al drammatico arresto sul confine svizzero che aprirà a lei e al suo papà i cancelli di Auschwitz. Dal lager ritornerà sola, ragazzina orfana tra le macerie di una Milano appena uscita dalla guerra, in un Paese che non ha nessuna voglia di ricordare il recente passato né di ascoltarla. Dopo trent’anni di silenzio, una drammatica depressione la costringe a fare i conti con la sua storia e la sua identità ebraica a lungo rimossa. “Scegliere di raccontare è stato come accogliere nella mia vita la delusione che avevo cercato di dimenticare di quella bambina di otto anni espulsa dal suo mondo. E con lei il mio essere ebrea”. Enrico Mentana raccoglie le memorie di una testimone d’eccezione in un libro crudo e commovente, ripercorrendo la sua infanzia, il rapporto con l’adorato papà Alberto, le persecuzioni razziali, il lager, la vita libera e la gioia ritrovata grazie all’amore del marito Alfredo e ai tre figli.

Fenici, ben trovate. Oggi vi parlo di un libro che tutti dovrebbero leggere.

È scritto molto bene, in modo chiaro e scorrevole e, in considerazione dell’argomento che viene trattato, è strano ma gradevole trovarsi davanti a un linguaggio così moderno.

La prefazione di Enrico Mentana è una vera e propria lezione di storia, curata da un giornalista che io ho sempre seguito con attenzione, perché è interessante e mai pesante.

È questione di pochi anni, e poi non ci saranno più testimoni in vita della Shoah. E per altro già oggi il loro racconto, la storia della loro esperienza nel girone infernale più raccapricciante della storia contemporanea, suscita una crescente indifferente, come se fosse l’ennesima riproposizione di una vicenda già archiviata. È quasi inevitabile che sia così, perché la memoria (compreso il giorno dell’anno in cui viene virtualmente sollecitata) ormai si focalizza solo all’interno del perimetro di Auschwitz, il punto terminale della soluzione finale. E in questo modo la più spaventosa politica sistematica di persecuzione che il mondo abbia conosciuto perde il suo contesto, e diventa una sorta di questione privata tra i due gruppi estranei al nostro mondo di oggi.”

Questo libro dovrebbe essere letto da tutti, non solo per evitare di dimenticare questo capitolo infame della nostra storia, ma perché il passato è come un muro di mattoni che noi costruiamo, anno dopo anno; se dimentichiamo parti così importanti della nostra storia questo muro subirà danni strutturali che non sappiamo come si ripercuoteranno sul futuro.

Purtroppo già oggi vediamo i mali provocati dal fatto di non conoscere la storia, o peggio dall’attribuire al nostro passato interpretazioni distorte; ne sono un esempio il rinascere di ideologie neo naziste e l’odio verso tutto ciò che è diverso.

Quello che colpisce di più leggendo di certi orrori è la pacatezza con cui la Segre li racconta, la sua mancanza d’odio, senza mai spendere una parola sopra le righe; è una cosa che ti fa riflettere.

Abbiamo sempre pensato che gli Ebrei vissuti in quel periodo fossero tutti credenti praticanti, invece scopriamo che molti di loro non seguivano la religione, come capita oggi con i cattolici, e solo per questo vennero prima segregati nei ghetti e poi deportati.

Mi sconcerta sempre la cattiveria di persone che, da un momento all’altro, hanno annullato l’umanità di coloro che fino al giorno prima frequentavano, rendendoli invisibili.

Mi chiedo come abbiano potuto fare tutto questo; io sono cresciuta con una nonna che ha accolto in casa partigiani e inglesi, nascondendoli dai tedeschi, e la sua cultura partigiana mi è stata tramandata fin dall’infanzia.

Quello che mi ha impressionato di più è il fatto che lei racconta di essersi sempre sentita in colpa per non aver capito cosa sarebbe successo agli ebrei dopo che venivano chiusi nel ghetto.

In tutto il libro c’è una frase che mi ha colpito come una pugnalata al cuore: è quando la Segre dice: “Italiani brava gente”.

Una frase espressa con un’ironia che è molto peggio della rabbia: brava gente che volta le spalle agli amici, ai vicini, ai colleghi di lavoro.

Brava gente che ha permesso che i bambini venissero espulsi da scuola, dov’è la nostra concezione di popolo?

Perché non siamo riusciti almeno a imparare qualcosa da quella tragedia?

Vediamo morire in mare adulti e bambini e il sentimento predominante che pervade la nostra Nazione è l’indifferenza.

Ci rendiamo conto che nonostante tutto l’odio e gli orrori che quella guerra ha portato, ci sono comunque persone che nei social inneggiano al disprezzo degli altri; come facciamo a permettere che ancora oggi si possano odiare delle persone solo perché il colore della loro pelle è diverso dal nostro?

Conclusa la lettura di questo libro il mio pensiero è andato subito a questa donna che si è trovata all’inferno in un’età in cui si dovrebbe solo sognare; lei, da sola e con fatica, è riuscita a risalire dall’abisso e si è costruita una vita tranquilla.

Ora è costretta a spostarsi con la scorta perché le minacce che riceve sono concrete; che tristezza e che rabbia mi fa vedere tutto questo.

Un esame di coscienza collettivo dovremmo farcelo: “Italiani brava gente”, perché non farlo diventare realtà?

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