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Recensione: “La spia del mare” di Virginia De Winter

 

 

Venezia, 1741.

Cordelia Sheffield è una spia inglese, bella, intelligente e letale. Cassandra Giustinian invece è una nobile veneziana dalla grazia incantevole, colpita da una misteriosa malattia. Nessuno sa che sono gemelle, che dividono un’unica vita e l’amore per lo stesso uomo: lo splendido Cassian d’Armer, una spia del Doge, tormentato da un passato di guerra e violenza.

Quando gli Inquisitori della Serenissima allungheranno le loro ombre sui segreti dei Giustinian, Cassian rischierà ogni cosa per salvare dalla morte la donna che ama. La lotta lo legherà fatalmente a tre uomini: un nobile francese fuggito dalla Corte di Versailles, un pari di Spagna in esilio volontario e un giovane abate, Giacomo Casanova, perfetto spadaccino e donnaiolo impenitente che li guiderà attraverso le calli e i balli fastosi, nella frenesia del meraviglioso carnevale veneziano.

Agenti segreti e alchimisti, crudeli assassini coi volti della Commedia dell’Arte convergono nella Serenissima e danno avvio a un pericoloso gioco di spie, alla ricerca di un mistero sepolto sul fondo della laguna, dove una fanciulla dorme in una bara di cristallo, custode di un segreto che potrebbe far vacillare l’esistenza stessa della Repubblica di Venezia.

Venezia dietro la riva delle Zattere galleggiava nell’azzurro simile a una flotta stravagante le cui navi avevano alberi che disegnavano di merletti il profilo del cielo.

Eccomi qua a parlare dell’ultima fatica letteraria di quella che a tutti gli effetti è una delle autrici italiane che più apprezzo, capace di avvolgermi completamente con la sua scrittura elegante e raffinata, trasportarmi nel suo mondo ricco di personaggi complessi, profondi, credibili, perfetti nelle loro imperfezioni e con le loro mille sfaccettature e debolezze.

Questa volta Virginia De Winter ci porta nella Venezia del 1700, una Venezia descritta con sublime chiarezza e realismo (frutto di un notevole impegno di ricerca), dove mescola personaggi inventati e realmente esistiti con attenta cura, al punto che si smette fin da subito di chiedersi cosa sia realmente stato e cosa no. Inoltre come se già la magia e il mistero del carnevale veneziano non fossero abbastanza, inserisce elementi fantastici che non stonano minimamente con l’atmosfera decadente della città sull’acqua, perché l’alchimia ha da sempre un fascino ambiguo e romantico che ben si intona alla città Veneziana.

In questa atmosfera baroccheggiante incontriamo Cordelia e Cassandra, due giovani donne tanto uguali nell’aspetto quanto (apparentemente) diverse nell’animo. Da un lato Cassandra Giustinian, giovane figlia di una delle principali famiglie patrizie della Serenissima, cagionevole di salute, figlia devota, timidamente fidanzata all’affascinante e ombroso erede dei D’Armer;

dall’altro Cordelia Bekson, meglio conosciuta come Belladonna, spia inglese dai molteplici talenti, cresciuta come tale dalla madre inglese che l’ha allontanata dal padre ancora in fasce.

Aveva mille nomi e soltanto al suo non aveva alcun diritto. Cordelia di Clarick, Cordelia Sheffield, Cordelia Farnese. Nell’ambiente delle spie, semplicemente Belladonna.

Cordelia, ricattata dal padre, si ritrova ad indagare su una serie di strani episodi che accadono a Venezia, questo la porta a dover frequentare Cassian D’armer, il fidanzato della sorella.

Nella confusione variopinta di abiti da sera e valletti che correvano portando biglietti, non tardò a individuare Cassian. La figura alta, le spalle larghe, i capelli neri senza cipria o parrucca spiccavano tra i damerini che, a suo confronto, sembravano solo esseri sbiaditi, rumore di fondo che tacque di colpo quando lui sollevò lo sguardo e trovò il suo.

L’attrazione è immediata ma la consapevolezza di non essere lei la destinataria dei sentimenti del giovane pesa come un macigno su Cordelia.

Per un momento, solo per un momento, Cordelia avvertì un sordo rancore nei confronti della sorella, sentendosi spregevole. Appoggiò la fronte contro la parete gelata, aprì gli occhi e le tessere del mosaico le restituirono un vortice di colori sfocati. Avrebbe desiderato anche soltanto per una volta fermarsi ad aspettare che qualcuno facesse tutto il lavoro al suo posto; dare per scontato che l’avrebbero protetta, che le avrebbero tolto dalle spalle il peso delle sue responsabilità per il semplice, acclarato motivo che non era in grado di sostenerlo. Per una sola, maledetta volta nella vita avrebbe voluto essere debole. Era sola mentre sentiva gli ospiti ridere e conversare ignari di lei e osservava un’altra se stessa andare incontro a Cassian. Notò il modo in cui il volto di lui si animava, cambiando dalla collera al sollievo. Era una sensazione inspiegabile, e dolorosa.

D’altro canto anche Cassian si trova disorientato da una fidanzata che a volte appare così diversa dalla timida fanciulla dalla salute cagionevole a cui è abituato.

Lo sguardo pieno di amore che lei gli rivolse gli provocò una fitta di rimorso. Guardare quella creatura, a cui l’assoluta caducità donava una bellezza fragilissima, gli dava una sensazione di angoscia unita a tenerezza. In quel momento giurò a se stesso che avrebbe fatto di tutto perché il suo ultimo respiro fosse lieve. Il tocco di Cassandra era debole, le sue dita fragili. In un lampo Cassian la vide a Palazzo Bolani strappare il braccio alla sua stretta con un’energia che nessuno avrebbe potuto arginare. Disorientato, indietreggiò di un passo.

Ad accompagnarli nel dipanarsi dell’intricata vicenda troviamo James, amico d’infanzia e compagno di spionaggio di Cordelia, Alain-Jean de Mortemart, misterioso spiritista esiliato da Versilles, Manuel Alfonso Pérez de Guzmán y Benavides, nobile spagnolo in esilio (forse) volontario e Giacomo Casanova, impenitente donnaiolo dall’intelligenza acuta (unico personaggio “storico” con cui l’autrice si è concessa di giocare), comprimari che finiscono, come spesso nei romanzi della DeWinter, per assumere i contorni di coprotagonisti (e chissà, forse futuri protagonisti di un eventuale seguito).

Tempo prima aveva tratto da un mazzo quattro carte. La tenebra del Re di Picche e la magia oscura del Re di Fiori, un facoltoso Re di Quadri e il fascino del Re di Cuori. Li aveva visti insieme, avvicinarsi, legarsi. Confondere i loro spettri e i loro fantasmi, un buio troppo profondo per non celarlo dietro un sorriso. Soltanto il ricordo di Giacomo Casanova aleggiava simile a una piuma luminosa su un mare notturno.

La storia quindi si muove tra balli in maschera e duelli all’ombra delle calli, assassinii nelle tenebre e cadaveri che sembrano tornare in vita, agguati, inseguimenti e cioccolate calde al caffè Florian.

Per tutta la prima parte un unico pensiero tormenta la nostra mente, chi è la fanciulla che dorme di un sonno artificiale nella bara di cristallo in fondo al mare?

Era possibile vederla soltanto nelle notti più limpide, quando la luna era alta in cielo e le correnti della laguna si combinavano in una magica armonia trasformando l’acqua in vetro. Allora si mostravano dal fondo del mare rovine di palazzi e resti di statue candide tra le incrostature di conchiglie e le chiome delle alghe. I riverberi della luna correvano lungo catene alle quali era assicurata una bara di cristallo e, tra i fregi e le nervature d’oro, appariva un volto di fanciulla che pareva immersa nel sonno. Alcuni giuravano che fosse viva, di averne sorpreso impercettibili movimenti nelle ore trascorse a contemplarla o di averla scorta in una posa diversa, vedendola la volta successiva. Altri invece erano sicuri che fosse morta, una creatura antica che riposava, intatta, tra le rovine delle isole inabissate della laguna. Sembrava una delle mille leggende che accompagnavano gli uomini di mare ma, a prestarvi attenzione, si era diffusa soltanto da qualche anno.

Sarà la seconda parte del libro a svelarci il mistero, così come ci mostrerà la natura della minaccia che incombe su Venezia e porterà allo scoperto i segreti del passato che Enrico Giustinian (il padre di Cordelia e Cassandra) ha disperatamente cercato di seppellire.

Come già detto sopra, io adoro lo stile di questa autrice, che migliora sempre più, affinandosi e alleggerendosi senza perdere quella connotazione elegante e raffinata che lo rendono unico ed accattivante.

In questa sua opera, ho molto apprezzato la bravura con cui è riuscita ad amalgamare storia e fantasia, costruendo ancora una volta una vicenda che ti cattura nelle spire del mistero e dove romanticismo ed azione si intrecciano in un connubio perfettamente equilibrato, delicato come pizzo e tagliente come acciaio affilato.

Era un giardino all’inferno, un luogo dove il sole sembrava appena tramontato per sempre, lasciando un’eco di luce sull’orizzonte alle proprie spalle e davanti a sé una notte sterminata e dolce di peccati. Il suo bacio era un giardino all’inferno. Non era un luogo creato per gli angeli, quel piacere intriso di sofferenza, la tenerezza di mani che avevano ucciso e il tocco di labbra senza preghiere.

Un bacio puro come un giglio, torbido come il sangue versato a tradimento. Il suo tocco che le aveva fatto tremare l’anima e le aveva allungato un’ombra di fuoco sulla pelle. Lui era stato l’inizio di un viaggio misterioso che l’aveva gettata in una tomba fredda in fondo al mare, sotto una lapide d’acqua e di menzogne. Con un bacio l’aveva condannata, con un bacio l’aveva risvegliata.

Non mi resta che consigliarvene la lettura, sperando che apprezzerete anche voi una delle poche autrici di romance (ma non solo) che ancora riescono a catturare il mio interesse e il mio cuore di lettrice.

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