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Recensione: “L’Arminuta” di Donatella Di Pietrantonio

Ci sono romanzi che toccano corde così profonde, originarie, che sembrano chiamarci per nome. È quello che accade con “L’Arminuta” fin dalla prima pagina, quando la protagonista, con una valigia in mano e una sacca di scarpe nell’altra, suona a una porta sconosciuta. Ad aprirle, sua sorella Adriana, gli occhi stropicciati, le trecce sfatte: non si sono mai viste prima. Inizia così questa storia dirompente e ammaliatrice: con una ragazzina che da un giorno all’altro perde tutto – una casa confortevole, le amiche più care, l’affetto incondizionato dei genitori. O meglio, di quelli che credeva i suoi genitori. Per «l’Arminuta» (la ritornata), come la chiamano i compagni, comincia una nuova e diversissima vita. La casa è piccola, buia, ci sono fratelli dappertutto e poco cibo sul tavolo. Ma c’è Adriana, che condivide il letto con lei. E c’è Vincenzo, che la guarda come fosse già una donna. E in quello sguardo irrequieto, smaliziato, lei può forse perdersi per cominciare a ritrovarsi. L’accettazione di un doppio abbandono è possibile solo tornando alla fonte a se stessi. Donatella Di Pietrantonio conosce le parole per dirlo, e affronta il tema della maternità, della responsabilità e della cura, da una prospettiva originale e con una rara intensità espressiva. Le basta dare ascolto alla sua terra, a quell’Abruzzo poco conosciuto, ruvido e aspro, che improvvisamente si accende col riflesso del mare.

“Ero l’Arminuta, la ritornata”.

Immaginate di avere 13 anni, già di per sé un’età difficile, e di perdere tutto d’un colpo, la casa, le vostre cose, l’amore di due genitori. Siete sole, abbandonate, e le domande sorgono spontanee “perché non mi vogliono più? Cosa ho fatto? Mamma sta male? È per questo che mi ha mandato via? Ma io potevo aiutarla”. Il mondo va avanti però, e d’un tratto vi trovate in una nuova casa, triste e misera e scoprite che quella è la vostra vera famiglia: una madre diversa dall’altra, poco amorevole, dal linguaggio duro e sgrammaticato, un padre silenzioso i cui occhi lampeggiano vergogna e rimorso. La casa è un tugurio, i vostri fratelli più grandi vi guardano storto, pensando al cibo che inevitabilmente diminuirà nei loro stomaci a causa vostra, ma in tutto questo trambusto c’è lei, una ragazzina più piccola ma spigliata che vi guarda con ammirazione e un bambino ancora più piccolo, che ha bisogno di protezione. Ecco questo è l’inizio dell’Arminuta, in tutta la storia non viene chiamata in altra maniera, lei è la Ritornata, non per scelta sua chiaramente.

Non è un libro facile, certamente non mette un sorriso sulla faccia né all’inizio né alla fine. È una storia che merita di essere letta, merita di essere vissuta se non altro per immedesimarci in lei e, se ricordate come me, quando avevate 13 anni, non è poi così difficile. Questa storia è la storia di tutti noi, una storia di crescita, di domande, di affetti, una storia diversa, reale, viva. Non ci saranno pianti, ve lo assicuro, ma rabbia sì e tanta anche, ma ci saranno anche gioie, affetto e amore come pochi.

Ho letto questo libro in una mattina ed è come se mi fosse entrato nella mente mostrandomi la casa, il villaggio, la città, il mare, i personaggi. Riuscivo a vedere le persone, a immedesimarmi in lei, l’Arminuta, a provare le sue emozioni, a vedere la sua forza, la sua maturità, davanti ai miei occhi come se anche io fossi stata lì con lei. Mi è piaciuto vedere l’Abruzzo con i suoi occhi, ho radici abruzzesi e le ho sentite più in questo libro che nella realtà.

Cosa posso dirvi di più … questo libro merita di essere letto, assaporato e amato. Vi entrerà nell’animo e spero che vi faccia sorgere delle domande, dei dubbi su cosa sia l’amore, non quello di coppia, ma quello tra madre e figlia, tra sorella e sorella.

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