Recensione: “L’uomo di fumo” di Steven Price
Care Fenici, oggi Lucia ci parla di un libro veramente particolare: “L’uomo di fumo” di Steven Price
Le miniere di diamanti del Sudafrica, i campi di battaglia della Guerra Civile americana, un paesaggio vittoriano modellato sul dolore e sulle speranze infrante: questi i fondali di un romanzo dal passo epico e dall’architettura stupefacente.
Londra, 1885. In Edgware Road viene ritrovato il cadavere di una donna. La testa spiccata riaffiora a dieci miglia di distanza dalle acque melmose del Tamigi. L’ennesimo delitto orrendo che rischia di restare irrisolto in una città abitata da relitti umani, attraversata da fogne a cielo aperto, popolata da spiriti vagabondi, fasciata in una perenne nebbia sporca. Il nascondiglio perfetto per l’uomo di fumo, Edward Shade, il criminale che tutti cercano e tutti accusano.
Allan Pinkerton, il detective più celebre di tutti i tempi, è morto senza riuscire a catturarlo; e ora tocca al figlio William, che ha ereditato l’ossessione, portare a termine l’impresa fallita.
Ma anche Adam Foole, gentiluomo trasformista che viaggia accompagnato da un gigante e da una bambina, ha le sue ragioni per ritrovare Shade: e sono ragioni che alludono a un amore perduto, a una lettera, a un viluppo di segreti.
Oggi vi voglio parlare di un libro davvero particolare: L’uomo di Fumo, di Steven Price. Una storia che vi porterà in viaggio nella nebbiosa e cupa Londra del 1885, per… una caccia all’uomo? A un fantasma? O solo a un’ossessione? Questo solo le ultime pagine lo diranno.
Ci ritroviamo a seguire William Pinkerton, il figlio del fondatore della notissima agenzia investigativa americana. Alla morte del padre Allan, l’uomo ha trovato fra le sue carte personali un corposo fascicolo pieno di documenti e di rapporti, tutti inerenti a un personaggio che il padre sembra abbia cercato per anni, mandando agenti in ogni dove: Edward Shade. Incuriosito, William ha deciso di andare a Londra in cerca di due vecchi agenti, amici del padre, che forse sanno il perché di questa caccia e forse conoscono l’unica complice di Shade, di cui si sa con certezza l’identità: Charlotte Reckitt.
Quest’ultima è una donna affascinante e misteriosa che ha vissuto i suoi ultimi anni in modo apparentemente onesto. Eppure, quando si accorge di essere pedinata da William, non esita a buttarsi nel fiume e, dopo qualche giorno, quello che sembra il suo corpo viene ritrovato a pezzi, in vari luoghi della città. La crudeltà della sua morte fa pensare a un’atroce vendetta, e non è solo William a voler conoscere l’identità dell’assassino, anche Adam Foole, un uomo dalla vita non proprio cristallina, comincia a indagare. Charlotte, dopo anni che non aveva dato segni di vita, gli aveva scritto chiedendogli di venire a Londra e Adam, che non l’ha mai dimenticata, è disposto a chiedere aiuto anche a William pur di trovare la verità, offrendogli quello che il detective sta cercando: informazioni sul fantomatico Edward Shane.
Se come me, amate quelle atmosfere cupe e angoscianti che può dare un film su Jack lo Squartatore, questo libro vi piacerà. L’autore ha saputo creare un’ambientazione in cui sembra proprio di camminare nella nebbia dei quartieri poco raccomandabili di una Londra tenebrosa, aspettandosi a ogni passo di essere aggredito. Se non che, il personaggio di William è a volte più pauroso di qualsiasi malintenzionato. È un uomo che non demorde mai, che non si arrende, che deve assolutamente capire se il padre si è fatto sfuggire un criminale così bravo, e perciò assolutamente pericoloso, oppure se Shade, che tutti dichiarano essere già morto, o mai esistito, fosse un’ossessione creata dalla mente del genitore. Il suo istinto lo porta ad andare avanti nonostante la mancanza di prove. L’autore ne dà una descrizione magnifica:
William Pinkerton. Che cos’era il primogenito del celebre detective se non una scia, un mormorio, una creatura d’incubo che attraversava la malavita seminando terrore? Gran parte di quelli che avevano incrociato il suo cammino contava i giorni sul muro di una cella, oppure si curava un osso rotto. Foole non era tra loro. Aveva sentito parlare di una forza terribile, sì, di un uomo che non chiudeva occhio per giorni, che era in grado di sopravvivere senza cibo né acqua nelle terre desolate del West, mandando muso a terra nella polvere un cavallo dopo l’altro, che s’aggirava impunemente nel marciume del porto di New York. Aveva trent’anni, no, ne aveva quaranta, no, cinquanta, no, quell’uomo non aveva età. Riusciva a leggere negli occhi una menzogna come fosse una folata di vento che increspa un lago. Riusciva a frantumare nel pugno un boccale senza che le mani consumate gli sanguinassero. Quand’era a Chicago, il venerdì frequentava la bettola di Madison, dove si infilava con un sorrisetto cauto tra bari e tagliaborse, sorseggiando indisturbato un sidro al bancone e osservando la malavita che lo stava a osservare. Alcuni giuravano che gli bastava un’occhiata per ammansire un toro.
Già da questo pezzo potete capire quanto sia bella la scrittura di quest’autore davvero talentuoso, con uno stile particolarissimo. La sua punteggiatura mette alla prova anche i lettori più smaliziati, non vi sono infatti virgolette, vi troverete a leggere dialoghi fatti in questo modo:
Dove sono le gambe?
Non lo sappiamo ancora, signore.
La testa era al porto? E il resto?
È il punto oscuro della faccenda. Shore si schiarì la voce. Un poliziotto ha trovato il torso chiuso
in un sacco, sotto un mucchio di laterizi in un cantiere di Edgware Road. Erano le cinque di
stamattina.
Quindi non era nel fiume?
No. Ma Mr Cruikes ha già verificato che il collo combacia alla perfezione con il torso.
William tornò a guardare i resti con interesse. La testa non sembra in buono stato.
Sì, è colpa dell’acqua.
Guarda che ferite, aggiunse, spostandosi dall’altra parte del tavolo. Ha acqua nei polmoni?
Secondo noi l’hanno aggredita con un coltello, signore, rispose il poliziotto. Poi l’hanno fatta a
pezzi. Dopo che era morta, crediamo.
Che abbia fatto tutto da sola l’avete escluso?
Da sola, signore?
Fa l’antipatico, Mr Stone.
Se in un primo momento sembra difficile seguire questo modo di dialogare, ben presto vi accorgerete che diventa sempre più facile, anche se impone al lettore concentrazione. Libro di grande originalità, va gustato con calma, prendendosi del tempo, ma non vi posso nascondere che ha alcune pecche che lo rendono una lettura solo per amatori del genere, o per lettori che amano le letture insolite. È un tomo di quasi settecento pagine e, bisogna dire la verità, almeno un centinaio, se non di più, potevano essere eliminate.
I personaggi sono tantissimi, vi troverete spesso nel loro passato assistendo a eventi che porteranno alla scoperta dei loro segreti. Vedremo parte della vita avventurosa di Adam e avremo sprazzi del rapporto di amore e odio tra William e suo padre, un uomo di profonda onestà, ma che non esitava a piegare la legge per dispensare la sua giustizia. Scopriremo l’amore profondo che lega William alla moglie, vedremo la realizzazione di una vendetta covata a lungo, episodi di guerra e tradimenti. Accadranno davvero tantissime cose in questo libro dalla trama corposa ma, nonostante mi sia piaciuto molto, la fine della grande caccia mi ha lasciato con una puntina di delusione. È scritto benissimo, originale come pochi, personaggi splendidamente caratterizzati, ma anche pieno di descrizioni non necessarie e lentissimo nello svolgersi della storia. Insomma, sicuramente bello e avvincente, ma persino per me, lettrice accanita, impegnativo.