Recensione: “Moto perenne” di Gene Gant
Dopo essersi svegliato all’improvviso nel bel mezzo di un bosco, Jason Barrett si ricorda solo una cosa: il proprio nome.
Spaventato e paranoico, inizia a spostarsi di città in città, senza mai fidarsi di nessuno. Passano mesi prima che riesca a formare un legame sincero con un ragazzo della sua età, che Jason aiuta in un momento di difficoltà nel parco della cittadina di New Hanover.
Ravi Mittal non sa chi sia il suo aitante cavaliere, ma New Hanover è una città piccola ed è facile ritrovarsi. Come ringraziamento per la sua gentilezza, Ravi vorrebbe aiutarlo a risolvere il mistero del suo passato. Durante le loro ricerche, Jason inizia a sentirsi a casa. Con Ravi è a suo agio e ha nei suoi confronti un sentimento mai provato prima.
Ma i pregiudizi del padre di Ravi riguardo Jason, afroamericano, minacciano di distruggere quello che sta nascendo tra i due… sempre che non ci pensi prima il mistero che avvolge il ragazzo.
Il romanzo di Gene Gant mi ha sorpresa per un paio di motivi.
Si tratta di un romance thriller: il protagonista è evidentemente una persona che ha bisogno di aiuto e non ho alcuna intenzione di svelare il motivo. Ad ogni modo, ci saranno misteri da indagare, in relazione al passato di Jason e alla sua perdita di memoria e questo porterà a un po’ di azione e adrenalina.
Jason trema ancora. Avverte le lacrime che gli si formano negli occhi e cerca di fermarle. «Non capisco cos’ho che non va,» mormora, vulnerabile e confuso. «Non capisco perché ho sempre così tanta paura.»
Ma la vera peculiarità che caratterizza questo racconto, a mio avviso, è il tempo verbale: il presente in terza persona. Rende l’esperienza di lettura un po’ straniante e suggestiva, certamente allo scopo di enfatizzare la percezione alterata del protagonista Jason: da un lato la terza persona mantiene un certo distacco dai personaggi evitando l’immedesimazione piena, dall’altro il presente appiattisce la profondità temporale e ci fa sentire costantemente incalzati degli eventi, impedendo un orizzonte più ampio. Come dicevo, è una particolarità tutta da leggere e alla quale non ci si abitua mai, neppure nelle ultime pagine. La presenza di flashback e di piccoli balzelli indietro, poi, non fa che disorientare ulteriormente il lettore, ottenendo esattamente il risultato sperato.
Difficile dire se questo stile mi sia piaciuto oppure no: reca con sé sia aspetti positivi che negativi (in particolare ho sentito più le mancanze nella parte finale, mentre l’ho trovato in molti punti uno stile geniale e quasi su misura per questo romanzo).
L’effetto che ne consegue, in alcuni punti vicino allo stile giornalistico così affine al genere thriller, viene comunque sempre bilanciato da dialoghi perfetti, vivi e caldi, e da situazioni intrise di tenerezza, amicizia e spesso vicine all’amore incondizionato.
La schiena di Jason è percorsa da un brivido. Ravi sta iniziando a piacergli molto, anche se hanno iniziato a parlare da poco. Vorrebbe piacergli anche lui. Ravi, con la sua pelle marrone ambrato e i suoi capelli neri e lucenti, è bellissimo. Gli fa un po’ paura non ha mai pensato a un altro ragazzo in questi termini, o almeno non ne ha memoria. Non ha mai desiderato baciare qualcuno con la stessa intensità con cui vuole baciare Ravi.
Ricordo che i protagonisti sono sedicenni, ragion per cui il romanzo è molto casto, pur incentrato su una storia d’amore.
Solo come annotazione, sono perplessa dalla copertina, che ritrae un ragazzo bianco, quando i due protagonisti sono entrambi di colore: afroamericano Jason, indiano Ravi. E questo mi fa riflettere sui lettori italiani, più che sulla casa editrice.
Credo sia un romanzo da catalogare come sperimentale: lo si ama o lo si odia. Io consiglio di leggerlo e di farvi la vostra opinione.
A cura di:
A cura di: