Recensione: “Penny portafortuna” di Jill Barnett
New York, fine 1800. Quando il famoso architetto Edward Lowell diventa improvvisamente tutore della nipote di 4 anni, rimasta orfana, la vita che conosceva viene messa sottosopra. Sua nipote è disperata ma quando vede una bambola nella vetrina di un negozio, Ed scorge i primi segni di felicità negli occhi della piccola. Purtroppo la bambola viene venduta prima che Edward possa comprarla, per cui si mette alla ricerca della fabbricante di bambole sperando che lei possa aiutarlo a trovare un modo per curare la sua giovane nipote.
Trattasi di un bel regalo di Natale questa riedizione di “Penny portafortuna” di Jill Barnett, la regina dei romance storici pieni di brio e spirito. Come parte della serie “Natale in città”, è un racconto ritradotto da Isabella Nanni, la quale, ha saputo conferire il giusto grado di vivacità e ritmo sia ai dialoghi che alla storia dei protagonisti.
Edward Lowell è un famoso architetto nella New York di fine 800, città nella quale i grattacieli svettano sempre più alti e maestosi, come simbolo della sua rapida espansione ed evoluzione tecnologica. Il telefono, la corrente elettrica e tante nuove comodità stanno trasformando le prospettive dei suoi abitanti e arricchendo i giovani imprenditori con il coraggio di osare.
In questo contesto in continua evoluzione, Edward a tutto pensa fuorché di trovarsi improvvisamente tutore di Penny, la nipotina di 4 anni divenuta orfana alla morte della sorella di lui. Lo strazio della perdita però, non impedisce all’uomo di prendersi cura della bimba con sollecitudine e una delicatezza infinita.
Dal pozzo di disperazione nel quale Penny sembra caduta, si intravede improvvisamente un filo di speranza quando la bimba, da una vetrina intravede una bellissima bambola nelle cui fattezze riconosce la mamma morta e ne pronuncia il nome.
Il solerte zio, ritorna troppo tardi sui suoi passi per fare l’acquisto… purtroppo qualcuno lo ha preceduto. Non gli resta che ingaggiare un investigatore privato che ritrovi la preziosa bambola che sembra essere unica in tutta la città di New York.
Questo particolare, nel mondo attuale dove tutto è fabbricato in serie, fa sorridere, ma ha invece un senso se lo contestualizziamo a 100 anni fa, quando ogni manufatto era diverso dall’altro (soprattutto le bambole con viso e mani di porcellana e capelli veri).
La disperata ricerca porterà Edward a incontrare una giovane donna di origini tedesche che vive del suo lavoro e che tutti i giorni, da sola, affronta il mondo con coraggio e passione. Idalie ha una grande passione, nei ritagli di tempo si diletta a cucire abiti creando splendide ed elegantissime mise per le sue bambole. Attività che le consente di arrotondare lo stipendio e rendere onore all’attività che per generazioni ha svolto la sua famiglia.
L’incontro con Edward e il dolore della piccola Penny le apriranno le porte della felicità e dell’amore in una vera famiglia.
Inutile dire che il libro mi è piaciuto moltissimo e che seppure breve, l’ho gustato fino in fondo. Belle le personalità di entrambi i protagonisti, ben definite e affascinanti come tutti i personaggi che Jill Barnett riesce a creare.
Interessante e innovativa l’ambientazione nella “grande mela” di fin de siecle, che aggiunge decisamente fascino alla vicenda. Un pizzico di tensione nel finale è la ciliegina sulla torta.