Recensione: “Come rette parallele” di Alessia D’ambrosio (Uncrossed Series vol. 1)
Quando la vita che stai vivendo non ti offre più nulla, hai un’unica possibilità: cambiare.
Isabella sogna un lavoro migliore, un riscatto in campo sentimentale, una vita sociale più dinamica. È con questi propositi che vola alla volta di Londra, città che le è sempre rimasta nel cuore. Durante la prima uscita con i suoi nuovi amici, Isabella si imbatte in Christopher, giovane avvocato in cerca di indipendenza. Complice un drink di troppo, i due ragazzi vivranno una notte di passione che li segnerà profondamente.
Sebbene Isabella e Christopher decidano di dimenticare quell’episodio e continuare i propri percorsi su binari differenti, il destino si metterà in mezzo per farli incontrare di nuovo. Ma quanto vale una passione? E se in gioco ci fosse il vero amore? Christopher sarebbe disposto a rinunciare alla stabilità tanto agognata per una sconosciuta? E Isabella si precluderebbe davvero la possibilità di vivere una vera favola, con tanto di principe azzurro, per una storia che forse non ha futuro?
Due rette parallele non possono incrociarsi, ma è davvero così semplice smettere di provarci?
La trama narra di una passione travolgente e inaspettata tra Isabella e Christopher, due giovani che tuttavia non possono iniziare una relazione, essendo lui già impegnato con un’altra donna. Poiché non ha intenzione di modificare i suoi legami sentimentali, i due protagonisti cercano invano di ignorare la forte attrazione e di sopravvivere alla lontananza.
Le premesse sono difficili, ma l’atteggiamento che ne consegue mi ha lasciata perplessa. Premetto che io non sono una persona gelosa, per cui trovo difficile accettare che un “non partner” possa richiedere a chicchessia di rimanergli fedele. L’atteggiamento di Christopher è arrogante ed egoista, irrazionale e infantile. Non è disposto a rinunciare a niente, né a concedere l’unica cosa che potrebbe dare a Isabella: la verità e il rispetto per la sua intelligenza.
La metafora delle rette parallele calza molto bene: il titolo è azzeccato e azzeccata è anche l’evoluzione della metafora nel corso della storia. È chiaro per tutto il percorso che i due ragazzi non possono stare insieme, anche se lo desiderano.
Sono dove dovrei essere, eppure non sono dove vorrei.
Sostanzialmente, la cosa che più mi ha dato fastidio in questo romanzo è il modo in cui i protagonisti si fanno del male da soli e poi si piangono addosso, dato che il fatto di voler tenere i piedi in tutte le scarpe è indubbiamente il modo migliore per soffrire e far soffrire.
La storia racconta, infatti, di un triangolo con molteplici punte e tradimenti, fisici o solo col pensiero. A causa dell’impossibilità di vivere una relazione alla luce del sole, finisce che i protagonisti tentano altre strade, mentono ai rispettivi compagni (con cui portano avanti relazioni di comodo), e non riescono a essere onesti neppure con se stessi, negando la realtà di ciò che stanno vivendo, cioè un bel colpo di fiamma.
Quello che troverete invece in questo romanzo è una rassegna delle varie tipologie di innamoramento: c’è chi si illude di essere innamorato o di non esserlo più; chi è innamorato del concetto di amore o di passione o di famiglia; chi sta con un partner per interesse. A mio avviso solo Percy, l’amico gay, ama davvero il proprio compagno, mettendolo davanti al proprio egoismo. Questo, almeno, è quello che io ho sempre ritenuto il mio concetto di “amore”, ma è interessante vedere come non ci sia una definizione unica e come ognuno possa vivere l’amore a modo suo.
«Isabella.» Sentirlo dalla sua voce roca, con quell’accento inglese, mi mette i brividi, è esattamente come la ricordavo, come la sogno tutte le notti. Nelle mie fantasie infuocate mi stringe e grida il mio nome forte, ma ora non sono nei miei sogni e sono molto, molto incazzata con lui.
Mi ha mentito e, cosa che mi fa ancora più male, ha tradito il mio sogno.
«Sei fidanzato»
Per quanto riguarda lo stile, faccio sempre un po’ fatica ad apprezzare i romanzi scritti in prima persona, in particolare quando è “abbondante”, cioè talmente calata nella testa del personaggio da rappresentare praticamente una presenza nella mia stessa testa. È come trovarsi seduti a tavola di fianco a una persona che non la smette di parlare di se stessa, senza vergogna di mostrare le proprie idee confuse.
Voglio Matt perché è perfetto per me, per il suo sorriso, per le sue fossette, per il modo in cui mi coccola. Voglio Matt perché è il mio principe, lui è la mia favola.
Ad ogni modo, il romanzo è scritto bene, usa delle belle immagini verbali, e lo stile è scorrevole, fresco e coinvolgente.
È di fronte a me, sta cercando di dirmi addio nel modo più bello che conosce, di nuovo. Noi non facciamo altro che dirci addio ed è paradossale. Non abbiamo una storia, non l’abbiamo mai avuta.
A differenza dei personaggi principali, che peccano di opportunismo, i secondari mi sono piaciuti: Matt, innamorato dell’amore, e Percy, il dolce e premuroso amico gay. Anche i personaggi negativi sono riusciti a scatenare dei sani sentimenti di repulsione, dagli amici bastardi fino alla madre che, attraverso un ricatto emotivo, manipola la vita del figlio.
Mi auguro che ci sia un seguito che abbia come protagonista Matt, il principe azzurro; una storia che lo veda messo alla prova nella sua pseudo-perfezione. Vorrei vederlo alle prese con un amore vero, che metta finalmente in crisi le sue certezze sull’amore così come lo conosce: un concetto romantico e idilliaco tutt’altro che reale.
Non ti sto mentendo, ma c’è una differenza tra l’amore e la passione. E tu, sei la passione.
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