Recensione: “Suicide Club” di Rachel Heng
Buongiorno Fenici, oggi Aina ci parla del libro “Suicide Club” di Rachel Heng
Lea ha cento anni e ne dimostra meno di quaranta, grazie agli straordinari progressi della medicina, che permettono ad alcune persone – selezionate alla nascita – di triplicare la durata della vita. Tutto quello che devono fare è attenersi scrupolosamente alle regole del benessere. Lea non mangia cibi grassi, non beve alcolici, non ascolta musica deprimente, non si allena né troppo intensamente né troppo poco. È la candidata ideale per accedere a una nuova fase sperimentale di cure, destinata a prolungare l’esistenza all’infinito. Un giorno, però, tornando dal lavoro, Lea vede suo padre dall’altra parte della strada, un padre con cui non ha rapporti da ottantotto anni. Per raggiungerlo, si lancia in mezzo al traffico e per poco non viene investita. Quel semplice gesto è la sua rovina: come può essere degna dell’immortalità una persona che agisce in modo tanto sconsiderato? In un attimo, il suo nome viene depennato dalla lista dei prescelti e lei è costretta a frequentare un gruppo di sostegno. Ed è qui che entra in contatto con alcuni membri del Suicide Club, un gruppo di ribelli che si batte per poter scegliere come e quando morire. E suo padre è uno dei membri. Dapprima sconcertata, a poco a poco Lea si rende conto che questi uomini e queste donne – che mangiano quello che vogliono, vanno a concerti clandestini, praticano sport estremi – hanno accumulato più esperienze in un anno di quante non ne abbia provate lei in una vita intera. D’un tratto, la prospettiva di vivere un’eternità di rinunce non è più così allettante. Ma ben presto si renderà conto che tutto ha un prezzo, e quello per la libertà potrebbe essere troppo alto…
Fonte della Trama: Amazon
Premetto che non si tratta di un romance, ma di un distopico puro, ed è proprio questa la chiave di lettura necessaria per apprezzarlo, considerandolo come un romanzo intellettuale, d’essai, che contiene metafore e rimandi alle derive della vita contemporanea.
Il tema
Chi non vorrebbe, se fosse possibile, l’opportunità di diventare immortale? E cosa saremmo disposte a sacrificare?
Questo faro illusorio, che rappresenta l’obiettivo della classe benestante della società futura in cui ci troviamo, presenta una notevole serie di risvolti negativi, che ci vengono mostrati con crudezza: le cavie umane a cui vengono impiantati organi e ricambi per testare il funzionamento; le differenze sociali che portano taluni a cercare di realizzare il proprio sogno indotto attraverso il mercato nero; lo sfasamento della durata dei vari ricambi (cuore, trachea, sangue, pelle) che portano alcuni di essi a cedere prima di altri lasciando un corpo parzialmente inabile ma incapace di morire, senza la possibilità di liberarsi di una vita che non è più vita.
Il romanzo ci mostra la stanchezza di una vita fatta di rinunce pur di essere sani, la privazione dal cibo gustoso a favore di quello chimico nutrizionalmente equilibrato, ma anche la rinuncia sempre più estrema a tutto ciò che può sollecitare eccessivamente il corpo accorciandone la vita: la musica che scatena cortisolo, gli sport troppo stressanti sulle articolazioni, l’aria inquinata che entra dalle finestre. A questo si aggiunge la stanchezza psicologica del dover sopravvivere a figli o parenti che non hanno la fortuna di essere selezionati per vivere a lungo (la categoria sub 100).
Tanto è desiderabile l’immortalità, quanto opprimente è l’obbligo (che non è un diritto per tutti) di dover “desiderare” di vivere per sempre: un dovere non solo morale o culturale, ma sancito anche dalla legge (chi non ha cura della propria salute e aspettativa di vita è considerato Empio, quindi allontanato ai margini della società). Una società basata sul culto dell’immagine (estremizzazione dell’attuale sfoggio di eterna gioventù, di visi rifatti e corpi pieni di silicone), terrorizzata dai picchi di cortisolo, e di fatto anaffettiva.
Nella società della Heng, gli Aspiranti centenari competono con i loro valori biomedici per accedere ai pochi posti che lo stato garantisce ad alcuni privilegiati (una roulette che assegna punteggi per beneficiare delle operazioni di estensione vita). Così, ogni relazione sociale, anche quella con il fidanzato, può nascondere il rischio di delazione agli osservatori statali e di perdere tutto.
La storia
Lea ha 100 anni, con potenziale di arrivare a circa 300. È candidata ideale per essere selezionata tra le prime a diventare immortale. Un giorno, per un’imprudenza, rischia di essere investita. Questo comportamento anomalo fa supporre a uno Stato troppo attento al diritto alla vita che lei voglia suicidarsi. La mettono quindi “sotto osservazione”. Il fidanzato fa da delatore per timore di perdere i privilegi di estensione della vita che si ripercuoterebbero anche sullo status sociale. Nel gruppo di sostegno che è obbligata a frequentare, Lea incontra una fetta di società finora sconosciuta, quella degli under 100, di aspiranti suicidi, e Anja, che ha una madre con una serie di organi artificiali con date di scadenza sfasate tra loro e che non riesce a morire, nonostante il suo corpo sia in decomposizione.
Lea ritrova anche suo padre, che non vede da 88 anni, e che ora, a 170 anni, è quasi giunto al suo termine vita. L’affetto di un padre che ha scelto l’esilio per salvare la figlia si contrappone a un mondo di plastica, insipido, privo di emozioni reali.
Stilisticamente
Un romanzo che non si attarda in una trama rigorosa e approfondita, nel caratterizzare personaggi che siano attori credibili, nel dipingere premesse, sviluppi e finali. Ho avuto più la sensazione di una serie di pennellate, anche piene di dettagli ma sconnesse tra loro, finalizzate a togliere linearità e a dare il senso di una realtà da interpretare, da riempire con le nostre sensazioni, le nostre paure, le nostre riflessioni. A tratti ho avuto la sensazione di trovarmi di fronte allo humor inglese: capivo quello che leggevo, ma non ne capivo esattamente il doppio senso, lo scopo. Oppure di fermarmi nei lunghi silenzi dei film troppo impegnati, in cui non tutto è scontato, sequenziale, immediato, ma lascia spazio per una lettura di spessore, più tridimensionale.
L’autrice suggerisce che ci sia una visione d’insieme che abbraccia i dettagli, incurante di approfondire i momenti più crudi, più asettici, senza bisogno di mostrare eccessi emotivi e lasciando a noi di riempire i vuoti. Dettagli che paiono buttati a caso, ma che servono a sedimentare in coriandoli di colore e ambientazione, odori, rumori, a fare scattare qualcosa in noi, e a creare il quadro d’insieme, come minuscoli pezzi di mosaico che, fatto un passo indietro, si leggono in un quadro organico e sensato.
Se c’è un aspetto assolutamente da sottolineare, sono i dialoghi vividi, espressivi, per niente artefatti, forse l’aspetto migliore del romanzo.
Bellissima l’ambientazione, tutt’altro che descrittiva e noiosa. Palpabile la realtà distopica, sia dal punto di vista sociale che ambientale, geografica, culturale, economica.
Precisa e curata la caratterizzazione, così come l’evoluzione di Lea che, nonostante i cento anni di vita, è perfettamente “omologata” alle regole sociali dell’alta borghesia aspirante all’immortalità. Entrando in contatto con parti meno fortunate, inizia a rendersi conto, a fare paragoni, a scoprire se stessa, a compiere scelte diverse e avere altri desideri, altre percezioni mai provate.
La storia di Lea è un percorso che la porta a scoprire le bellezze della natura, il gusto dei cibi calorici, i piaceri della musica: tutte quelle cose che non preservano la salute ma che fanno sentire vivi. Fino alla scoperta della soddisfazione insita nell’avere il controllo sul proprio corpo, sulla propria vita così come sulla propria morte. E fino, anche, all’accettazione dell’ineluttabilità di cose su cui non è possibile avere il controllo, come il fatto che l’uomo non sia fatto per vivere in eterno e che, a differenza di una macchina, sia dotato di un’anima che può spegnersi in modo irreparabile.
“Lui non rispose, ma sostenne il suo sguardo. Lea studiò le rughe sul suo viso, rivedendo ogni espressione che lui aveva avuto, ogni sorriso, ogni preoccupazione e ogni sospiro. Vide come si contendevano lo spazio sulla tela della sua pelle, come avevano inciso la loro esistenza fugace sulla sua carne, come lo avevano riempito e lasciato il segno, tirando e scavando e torcendo finché non era rimasto più spazio. Vide com’era pieno del mondo che aveva visto, com’era sazio, com’era stanco. Vide, infine, che tutto quello non aveva nulla a che fare con lei. Non aveva mai avuto nulla a che fare con lei. Lui aveva fatto le sue scelte, e lei avrebbe fatto le proprie.”