Recensione: “Teutoburgo” di Valerio Massimo Manfredi
È un giorno di sole quando Armin chiama suo fratello Wulf, per mostrargli un prodigio: la costruzione della “strada che non si ferma mai”. Una meraviglia che li lascia senza fiato, il miracolo tecnico dei nemici romani, capaci di creare dal nulla una strada che attraversa foreste, fiumi, paludi e non devia nemmeno davanti alle montagne.Improvvisamente i due sentono dei rumori: è una pattuglia romana. Armin e Wulf sono catturati dai soldati. Nel loro destino però non c’è la morte, né la schiavitù.
Perché Armin e Wulf sono figli di re. Sigmer, il loro padre, è un guerriero terribile e fiero, principe germanico rispettato e amato dalla sua tribù. La sua sola debolezza era l’amicizia segreta con Druso, il grande nemico, il generale romano precocemente scomparso, che Sigmer, di nascosto, ha imparato a conoscere e ad ammirare. Ma di questa ammirazione nulla sanno i due giovani. Devono abbandonare la terra natale e il padre, per essere condotti a Roma. Sono principi, per quanto barbari. Saranno educati secondo i costumi dell’Impero, fino a diventare comandanti degli ausiliari germanici delle legioni di Augusto.
Sotto gli occhi dell’inflessibile centurione Tauro, mezzosangue germano convertito all’amore e alla fedeltà verso Roma, impareranno una nuova lingua, adotteranno nuove abitudini, un modo diverso di pensare.E come possono Armin e Wolf, cresciuti nei boschi, non farsi incantare dai prodigi di Roma? Non solo la strada, ma anche gli acquedotti, i templi, i palazzi meravigliosi. I due ragazzi diverranno Arminius e Flavus, il biondo, cittadini romani, due giovani guerrieri, stimati da tutta Roma, capaci di conquistarsi la fiducia dello stesso princeps Augusto. Ma il richiamo del sangue è davvero spento in loro? La fedeltà agli avi può portare alla decisione di tradire la terra che li ha adottati a favore di quella che li ha generati?
Valerio Massimo Manfredi torna al romanzo e racconta, unendo alla perfezione esattezza storica e respiro epico, la storia straordinaria e mai narrata prima di due fratelli, due guerrieri, le cui scelte hanno portato a Teutoburgo, lo scontro decisivo tra Romani e Germani, la battaglia che ha cambiato il destino dell’impero Romano e del Mondo.
Mi sembra doveroso premettere che non è il primo libro che leggo di Manfredi. È un autore che conosco e stimo.
Una seconda precisazione che devo fare è che non conosco benissimo la storia dell’impero romano. L’ho studiata tanti anni fa e molte cose non me le ricordo più, per cui non sono in grado di giudicare il suo lavoro sotto questo punto di vista. Ma è anche vero che le pagine finali del libro spiegano cosa l’autore ha riportato di vero, cosa è stato romanzato e cosa inventato a causa della fonti mancanti, visto che disponiamo solo di quelle romane, spesso incomplete.
Detto ciò posso affermare che ho trovato il libro veramente deludente.
Cercherò di spiegare i motivi delle mie perplessità, che mi hanno tentato, più di una volta, a lasciare la lettura del racconto incompiuta.
Inizierò con dirvi che fino al 73% del libro non succede assolutamente nulla. Ecco questo per me è una grave pecca.
Buona parte del racconto è un susseguirsi di nomi e informazioni storiche su usi, costumi e personaggi (sia di spicco che secondari), per tanti versi fini a se stessi. Pagine e pagine che non sono servite a dare informazioni importanti sulla trama e tanto meno a farmi entrare nel vivo della storia o in empatia con i personaggi, ma anzi spesso solo a confondermi le idee.
Altra pecca enorme è appunto la mancanza di empatia con i personaggi. Ho letto il libro senza emozionarmi, se si leva una decina di pagine cruente, senza riuscire a entrare in sintonia con loro, con le loro scelte o il loro pensiero. Ho letto tutto come se fosse un libro di storia, freddo e impersonale. I personaggi sono rimasti distanti e distaccati, spesso indecifrabili e molto poco delineati come carattere, anche nelle ultime tragiche pagine.
Alla fine, durante la battaglia di Teutoburgo, le emozioni si sentono, anche solo per la cruenta descrizione dell’accaduto, ma anche qua le pagine destinate a quello che dovrebbe essere l’evento centrale sono troppo poche e troppo superficiali e subito dopo si riscivola nella noia.
Segnalo inoltre la mancanza di una storia d’amore degna di tale nome, essendo presente solo in maniera marginale. Teutoburgo infatti non è nato per raccontare una storia d’amore, ma non è riuscito nemmeno a raccontare un’avventura o una guerra. Di fatto del romanzo ha proprio poco.
Purtroppo il libro non rende onore né ai romani, né ai germani, ma soprattutto allo stesso scrittore.
Recensione a cura di: LA DAMA DEL BOSCO
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