Recensione: The Guard and The King di Daria Torresan e Brunilda Begaj
Titolo: The Guard and The King
Autore: Daria Torresan e Brunilda Begaj
Editore: Self Publishing
Genere: Romance contemporaneo
Data di pubblicazione: 20 novembre 2021
ROMANZO AUTOCONCLUSIVO
Ci sono principesse che sognano il Principe Azzurro, e altre che si innamorano del cattivo della storia.
Le cugine Doko sono le discendenti dirette della famiglia più potente dell’Est Europa.
Lajza ha diciotto anni, un carattere forte e un segreto inconfessabile: la folle attrazione per la sua guardia del corpo.
Manol è un uomo ermetico, misterioso, sexy. È nato per proteggere ed è fedele ai suoi padroni.
C’è un divario tra loro, li allontanano vent’anni di età e l’estrazione sociale.
Lui lo sa che Lajza è intoccabile.
Ma lei lo provoca, lo intriga.
Gli offusca la mente come nessuna donna è mai riuscita a fare.
Una passione illecita e proibita li attirerà l’uno verso l’altra fino a farli impazzire.
Bianca ha ventun anni, un animo candido e un’innocenza cristallina. Non è preparata alla tempesta che sta per abbattersi su di lei e su tutta la sua famiglia. Qualcuno nell’ombra sta pianificando una feroce vendetta che ha come obiettivo proprio le giovani eredi.
Un uomo diabolico, crudele, spietato.
Ma anche terribilmente attraente, ammaliante.
Con un ego smisurato tanto da farsi chiamare Il Re.
Le si insinua tra i pensieri. Le altera il battito del cuore.
La fa vergognare per ciò che prova.
Perché lui brama la distruzione dei Doko, e lei non dovrebbe desiderarlo.
La partita che sta per svolgersi sarà decisiva: i pedoni si disporranno sulla scacchiera, si batteranno ognuno per il proprio re.
Quale sarà il finale?
*Pur essendo autoconclusivo, il romanzo nasce come spin-off di The Aristocrats. Si consiglia di leggerli in ordine di pubblicazione per non incorrere in eventuali spoiler.
La particolarità del romanzo è la presenza di una coppia di storie d’amore, una di tipo gap-age e l’altra modello sindrome di Stoccolma, con protagoniste le cugine Doko. L’idea di fondo è interessante, purtroppo però la realizzazione non è riuscita a convincermi.
«Baciami se ne hai il coraggio» mi provocò. «Piccola peste…» Accennò un sorrisetto. «Sto aspettando.» «Aspetterai in eterno.» Ma le nostre bocche erano sempre più vicine. «Codardo» mi accusò in un sussurro. Codardo no. Codardo non aveva osato dirmelo nessuno. E allora lo feci, la divorai. Premetti le mie labbra sulle sue e infilai la lingua nella sua bocca.
(Tratto dal libro)
La trama con protagonista Lajza vede questa ragazza appena maggiorenne innamorata della sua guardia del corpo Manol (che ha circa il doppio dei suoi anni). Lei, finora chiusa in una “torre dorata” per volontà di un padre geloso e protettivo, viene caratterizzata come una sedicenne in cerca di avventure e si atteggia a piccola Lolita nel tentativo goffo e ingenuo di sedurre l’uomo dei suoi sogni, che naturalmente non riesce a resistere neppure un paio di pagine. L’uso del corpo acerbo per sedurre come unica modalità per valorizzarsi e farsi desiderare da un uomo è piuttosto anacronistico.
Mi si avvicinò, sfidandomi viso a viso. Strinsi a me il telo di spugna, umiliata. «Se pensi di mostrarmi in questo modo che sei cresciuta, disubbidendo e sfuggendo ai tuoi doveri, hai sbagliato tattica, zonjusha Norik. Mi stai solo confermando di essere una diciottenne capricciosa e viziata.» Poi chinò lo sguardo sul mio petto, giusto un attimo. «Quanto al tuo corpo, non hai nulla che io non abbia già visto.»
(Tratto dal libro)
Bianca invece incontra il suo uomo del mistero durante la prigionia da lui stesso messa in atto nel tentativo di vendicarsi nel peggiore dei modi di lei e di tutta la famiglia Doko. L’attrazione per il rapitore risulta piuttosto assurda e non-sense anche in un’ottica di sindrome di Stoccolma, essendo quella parte di trama priva dell’intensità passionale che di solito caratterizza i dark romance, anche se è vero che Kurt, il re dei Castelli, ci viene mostrato non solo come il cattivo di turno ma anche con qualche risvolto introspettivo capace di ammaliare la crocerossina che è in noi.
«Oggi e domani sei sotto la mia sorveglianza, quindi decido io se puoi uscire conciata così. E decido di no.»
(Tratto dal libro)
La lettura è affaticata da problemi vari: saltellante temporalmente avanti e indietro, punti di vista alternati tra una miriade di personaggi, ambientazione assente, caratterizzazioni insufficienti.
Ad esempio, le due cugine sono tratteggiate in modo stereotipato e con la stessa personalità; non si differenziano negli atteggiamenti, nei modi di fare, nei desideri e nei difetti. Anche se appena maggiorenni, entrambe hanno questa identità da sedicenne capricciosa, frivola, con valori discutibili in fatto di corpo femminile e di innamoramento e con insicurezze adolescenziali. Le figure maschili del romanzo, partendo dai padri, sono l’incarnazione dell’anti-pedagogia, agendo contro ogni linea educativa moderna come cavernicoli protettivi. Abbondano atteggiamenti cliché che vedono la donna come puro oggetto sessuale e dotata di poco altro (certo non l’arguzia, considerati i goffi tentativi di evasione), così come il concetto di verginità-premio, della figlia da “concedere” a qualcuno che la prenda in carico, o che possa essere “rubata” a un altro uomo.
Chiuse gli occhi sopraffatto e, quando li riaprì, il suo sguardo era diverso: torbido, eccitato, folle. «Mi farai uccidere» bisbigliò roco. Poi aggiunse le sei parole più belle che avessi mai udito: «Ma ne sarà valsa la pena.» E si scagliò sulle mie labbra. In un attimo i nostri corpi si attorcigliarono, si avvinghiarono, e le nostre bocche si risucchiarono a vicenda. Entrambi vittime di un desiderio represso troppo a lungo.
(Tratto dal libro)
Per quanto riguarda invece l’ambientazione, ho respirato le tipiche atmosfere americane più che quelle albanesi (nel libro si parla di feste da college, football, cheerleader), che mi è stata ricordata anche dalla frivolezza degli atteggiamenti delle due cugine, che si relazionano con una civetteria e una leggerezza piuttosto occidentali, molto sfruttata dalla commedia rosa. Ignoro se in Albania siano presenti queste varie caratteristiche, certo è che l’ambientazione non mi ha regalato la sensazione di trovarmi in un paese differente da quello americano, governato da dittatori e a regime socialista fino a vent’anni fa.
L’audacia le riempì gli occhi scuri, dopo che era rimasta a osservarmi qualche istante. «Okay, vuoi la verità? Non voglio che tu muoia. Non chiedermi perché, non lo so nemmeno io. Dovrei odiarti, dovrei desiderare che tu sparisca dalla faccia della terra, ma non ci riesco.»
(Tratto dal libro)
La narrazione, come dicevo, è frammentata in innumerevoli punti di vista tutti in prima persona e risulta poco lineare per i salti temporali avanti e indietro nel tempo, che affaticano inutilmente la lettura.
Spiace dirlo ma non mi ha convinto neppure il finale anni ‘40 che *spoiler* vede le nostre ex adolescenti accasate ad accudire una flotta di marmaglia, ancor prima di maturare appena un po’ e di aver trovato la loro strada nella vita.
«Se ti dicessi che sono qui per te mi crederesti?» «Per finire il lavoro?» «Forse» rispose, sibillino. «O forse perché ho scoperto che alla fine un cuore ce l’ho ancora se batte ogni volta che ti ho vicina.»
(Tratto dal libro)