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Recensione: “Tre cene” di Francesco Guccini

Titolo: Tre cene (l’ultima invero è un pranzo)

Autore: Francesco Guccini

Genere: Narrativa

Editore: Giunti

Data di pubblicazione: 13 ottobre 2021

 

 

«Non aspettatevi grandi avvenimenti dalle cose che andrò raccontando, fulminanti colpi di scena come agnizioni improvvise o finali drammatici o misteri iniziali che poi, a poco a poco, logicamente sgretolati dalle deduzioni di un abile investigatore, si dipanano e si mostrano in tutta la loro enigmatica chiarezza»: così ci avverte Francesco Guccini, in apertura del primo dei tre racconti che compongono questo libro. «È semplicemente la storia di una cena, e di alcuni amici; una storia di quelle quasi come le favole che ci raccontavano da piccoli, già sentita tante volte ma che amavamo ci raccontassero ancora e ancora, per il solo piacere di stare lì ad ascoltare…»
E così, accompagnati dalla sua voce, seguiamo gli amici protagonisti in una notte d’inverno, mentre la neve cade, fino alla prima delle locande dove trascorreranno una notte di buon cibo e molto vino, di risate e un po’ d’amore; una di quelle notti in cui l’amicizia e la sazietà aiutano a non ascoltare i presagi della vita che corre. Questa prima cena ha luogo prima dell’ultima guerra nell’Appennino tra Bologna e Pistoia, la successiva ci racconta lo stesso mondo quarant’anni dopo, l’ultima – che non è invero una cena, bensì un pranzo di mezza estate che si protrae fino a un grande falò notturno – si svolge nel giorno di un’eclissi di sole.
Dai poveri anni Trenta alla disillusa fine del Novecento, passando dalle speranze dei Settanta, nelle tre compagnie di amici che si avvicendano, nei loro scherzi, nelle loro sbronze, nei cibi che scelgono di mangiare ritroviamo il sapore del nostro passato e rileggiamo noi stessi con divertimento e malinconia. Francesco Guccini inanella tre storie che diventano una sola e dà vita a nuovi, memorabili, bizzarri eroi della sua epica del tempo perduto.

 

 

Carissime Fenici, parlare di un libro di Guccini è sempre difficile.

I suoi libri non hanno un canone preciso, personaggi, trama, antagonisti… insomma, seguono un loro libero schema che si accentua maggiormente quando questo autore non scrive a quattro mani con Macchiavelli, suo coautore di diversi romanzi che ho amato.

Il Guccini scrittore solitario è un esploratore di ombre che stana nella sua amata Maremma toscana, dalla cui foschia di paesini arroccati e boschi rigogliosi emergono come spettri queste figure di un passato senza gloria, che la storia l’hanno vissuta ma non scritta e che in qualche modo potrebbero essere l’antenato o il parente di ciascuno di noi.

Le storie che racconta in questo romanzo sono storie semplici e frugali, di vita antica, dove si viveva in modo semplice e vagamente brutale, dove l’ignoranza imposta dalla poca scolarizzazione veniva un po’ sopperita dall’ingegno e dai legami forti che si creavano nei vari paesini di montagna ove la comunità viveva unita per superare le asprezze della vita.

Queste tre cene, di cui invero una è un pranzo, non sono altro che la scusa per tracciarci con pennellate forti le vite di quegli uomini e la loro amicizia, che si snoda negli anni in appuntamenti conviviali in cui ognuno porta con sè un po’ di gioia e un po’ di miseria, qualche sogno infranto e qualche grande speranza.

Cene che ci narrano la vita di paese, le sue brutture e le sue bellezze, le piccole grandi gioie e i dolori che il cibo e la convivialità sembrano lenire, sino alla fine, quando all’ultimo incontro si contano le sedie vuote perché il tempo è passato inesorabile sulle loro vite lasciando i ricordi a mera testimonianza del tempo che fu.

 

 

 

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