Recensione:”La donna mancina” di Peter Handke
Titolo: La donna mancina
Autore:Peter Handke
Editore:Guanda Editrice
Genere:Narrativa Contemporanea
Pagine: n° 121
Data di pubblicazione: il 12 marzo 2020
Ogni notte, nel salotto vuoto di Marianne risuonano le parole della stessa canzone, The Left-Handed Woman: «Vederti in un continente straniero / io vorrei / perché finalmente in mezzo agli altri / ti vedrei sola…» Sono versi che evocano il destino di solitudine scelto dalla protagonista e il suo non essere mai conforme alle aspettative. Tutto ha inizio da un’illuminazione: la mattina dopo aver passato una notte d’amore con il marito Bruno, appena rientrato da un viaggio di lavoro, senza alcun motivo apparente decide di lasciarlo. È a questo punto che, rimasta nella sua casa con il figlio di otto anni, Marianne può cominciare una nuova vita; immersa in un’aria sospesa e malinconica, riprende il lavoro da traduttrice e, impermeabile a critiche e incomprensioni, respinge ogni tentativo di seduzione. In questo romanzo che ha riscosso un grande successo di critica e di pubblico, Peter Handke registra le vicende di Marianne e di chi si muove attorno a lei con il distacco e la discrezione di una macchina da presa. Una narrazione essenziale, attenta al gesto più quotidiano, ci mostra l’anima di una donna che, attraverso un isolamento desiderato e sofferto, tenta di trovare se stessa.
La donna mancina di Handke è un libro breve ma molto intenso. Quello che più mi ha colpito è sicuramente la voluta povertà di trama che contrasta con l’assoluta potenza del romanzo.
La donna mancina è Marianne che, una sera, dopo una commovente dichiarazione d’amore del compagno, decide, contrariamente a ciò che ci si sarebbe aspettato, di spezzare il loro legame, vivere sola con il figlio e riprendere in mano la propria vita di traduttrice.
A nulla valgono le insistenze del compagno per tornare alla normalità, a nulla i consigli dell’amica e del padre, Marianne prosegue nel suo tentativo di vivere in completa solitudine e, finalmente, liberare se stessa da qualsiasi forma di rapporto umano socialmente accettato.
Quello che, secondo me, è riuscito all’autore è stato di far comprendere al lettore quanto la diversità (nel libro identificata con l’essere mancini) sia una risorsa ma, soprattutto, un atto di coraggio.
Non posso dire che questo libro mi sia piaciuto, sarebbe altamente riduttivo; questo romanzo non deve né piacere né non piacere, è uno spaccato di vita tracciato in maniera così sensibile che può suscitare solo la nostra ammirazione.
Ne ha tratto un film l’autore stesso diventando, così, regista per l’occasione. Non posso che recuperarlo al più presto per vedere come un romanzo così asciutto, dallo stile secco e perentorio sia divenuto una pellicola per il cinema.
Ho aspettato qualche giorno per scrivere questa recensione perché ero molto confusa ma, alla fine, ha vinto la sensazione di essermi ritrovata completamente nella protagonista: una donna che rinuncia alla normalità e a ciò che la società si aspetta da lei per inseguire il suo amore particolare per la solitudine e, come viene più volte detto, per coloro che nella vita sono maldestri, sbagliati, insomma, mancini.
Pur nella sua stranezza, ho trovato, quindi, questo romanzo una piccola pietra preziosa nell’attuale deserto letterario che camuffa il nulla da dire con trame rocambolesche ma vuote di significato.
Sicuramente, La donna mancina è un gioiello dal passato che mi sento di consigliare a tutti.