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Recensione:”La guerra del cuore” di H.M. Orgeron e K. Stewart

Titolo: La guerra del cuore
Autore:H.M.Orgeron e K.Stewart
Editore:Triskell Edizioni
Genere:Military Romance

Data di pubblicazione: il 5 Settembre 2020

Briggs,
ricordi quando in Germania ti dissi che non potevamo parlarci una volta che le nostre strade si fossero divise?
È stato il giorno in cui ti ho spezzato il cuore. Quello che non sapevi, era che stavo spezzando anche il mio. Credevo che mi sarebbero bastati: mio marito e mio figlio. Che sarei tornata a casa, e tutto sarebbe tornato com’era…
Prima della guerra.
Prima dell’imboscata.
Prima di te.
Ma non importa quanto ci provi, non riesco a cancellare il trauma che abbiamo condiviso. Non riesco a dimenticare il modo in cui il mio cuore batteva a tempo con il tuo. La verità è che sono persa senza di te. Quando ci hanno tirato fuori da quel buco nel terreno, pensavo che l’incubo fosse finito, ma nulla poteva prepararmi alla guerra che avrei affrontato a casa.
So che è da egoisti chiedertelo, ma, ti prego, devo vederti un’ultima volta…
Con tutto il mio amore,
Scottie

 

Scrivendo la recensione a distanza di qualche giorno, devo riconoscere che le ragioni per cui questo romanzo non mi è piaciuto molto sono legate a tanti piccoli dettagli.

Innanzitutto la cover “vinci-facile” che strizza troppo l’occhio all’aspetto romance, quando il contenuto è piuttosto psico-drammatico: i temi trattati sono il disturbo da stress post-traumatico (PTSD), i legami in condizioni di prigionia, e solo infine il tradizionale tema del triangolo, ovvero la scelta tra l’uomo che “piace alla mente” (anche se, dobbiamo dirlo, si tratta del marito e padre dei propri figli, che si è amato fino al giorno prima) e l’uomo che “piace al cuore”.

La vera protagonista che avrebbe meritato la copertina, quella che attraversa le pene dell’inferno e che è incapace di uscire da sola dai suoi traumi, è lei, l’infermiera militare Scott.

«Un ultimo favore,» le chiedo prima di chinarmi e sussurrarle parole che so che ha bisogno di sentirmi dire. «Corri lontano e veloce, balla quella danza sexy, fa’ quel secondo bambino. Sorridi, Scottie. Lasciati andare, racconta barzellette, vivi una vita lunga e felice, per me.»
«Per favore, non odiarmi.»
«Non è una cazzo di possibilità.» (Tratto dal libro)

Allo stesso modo non mi ha convinta il modo in cui è stata “montata” la trama, tendendo a mostrarci solo lati che calcano su alcune emozioni piuttosto che altre, cercando di trasmettere maggiore intensità e sofferenza.

Certamente non è una storia facile, quella di una infermiera soldato rapita in missione e in seguito recuperata, che poi dovrà affrontare il PTSD e insieme le paturnie del cuore, però si poteva fare di meglio per alternare momenti di pathos e di sollievo.

La “scenografia”, cioè la scelta di quali scene mostrare rispetto alla trama, ha privilegiato momenti tristi, dolorosi, lacrimevoli rispetto ad altri più positivi o a quelli d’azione. Ne risulta una storia priva di tensione, una spirale di emozioni che portano a toccare il fondo, appesantendo i tratti con una prima persona ingombrante molto emotiva e iper-riflessiva (anche nel suo punto di vista maschile, cosa sempre poco credibile, in particolare nei maschi alfa).

Non vediamo Katy felice con il figlio e il marito, solo abbandonarli a casa il giorno della partenza per l’Iraq. Non ce la mostrano determinata e professionale mentre cura i soldati, solo mentre si piange addosso, si strazia per la lontananza della famiglia e allo stesso tempo sbava sull’avvenente commilitone Briggs.

Finalmente.

Non so perché questa parola continui a scorrermi nella testa. Ma qui, in questo istante, con le sue labbra sulla mia bocca e le mani sulla mia pelle… capisco con esattezza il significato del termine: finalmente.

Mi sembra di aver trattenuto il fiato per settimane… mesi… e lui sta riempiendo i miei polmoni affamati di nuova vita. Facendo rivivere tutte le parti morte, tutte quelle rotte, anche solo per un brevissimo istante. (Tratto dal libro)

La caratterizzazione della protagonista è poco accattivante.

Katy è un personaggio insicuro, piagnucolone, altezzoso e rigido su posizioni moraliste da cui giudica soldati single che si divertono la notte, e allo stesso tempo così frivolo da lasciare crescere l’attrazione per un bel ragazzo muscoloso già dal primo giorno in cui lo incontra.  Incapace di dire la verità al marito, di farsi aiutare dalla psicologa, di confidarsi con chicchessia, vuole tutto (marito, figlio e amante), ma non è capace di accettare le conseguenze delle sue emozioni.

I due uomini sono più interessanti, pur nei loro difetti.

Il marito sembra un uomo d’oro, ed è certamente arrabbiato e sconcertato nello scoprire che sua moglie condivide l’amore per lui con un altro uomo. I suoi comportamenti non sono tutti encomiabili, eppure la posta in gioco vale tutto il suo disappunto. Briggs riesce a essere un amante comprensivo, attraente e allo stesso tempo rispettoso dei ruoli. La scelta di Katy è davvero difficile, dovrà sudarsi ogni oscillazione della bilancia che penderà verso uno o l’altro.

«Katy,» dice, afferrandosi i capelli con gli occhi pieni di lacrime, «dall’istante in cui ci siamo incontrati, eri mia. Non condividerò un singolo pezzo di te con lui… con nessun altro. Potevo gestire tutto ciò che mi hai scagliato addosso fintanto che ero certo di questo, ma non è più così.»
«Ho scelto te. Ho scelto Noah. Sceglierò questa vita all’infinito,» mi sento dire.
Scuote la testa. «Ma non la stai vivendo.»
«Ci sto provando.»
«Stai annegando, piccola,» le sue grida sono gutturali, «e io resto a guardare, e la cosa mi sta uccidendo.» (Tratto dal libro)

Purtroppo neppure lo stile è il top: già piuttosto ridondante, cupo e pesante per la tematica trattata, non è nobilitato da una traduzione impeccabile, vuoi per la punteggiatura, la scorrevolezza, i tempi verbali confusi o le ripetizioni.

 

«Quindi, non mentiva, sei davvero quel ragazzo del telegiornale. Accidenti.»
«Ti prego, non essere impressionata. Venire catturati non è per niente la prova di un lavoro fatto bene.» (Tratto dal libro)

 

La sostanza della storia riguarda una donna soldato non preparata alle azioni militari, che quasi “di sorpresa” viene chiamata in servizio in Iraq.

Katy parte come una madre protettiva e innamorata di suo marito e torna, dopo una esperienza tremenda, come una donna diversa. È cambiata per il trauma della guerra, ma è anche incapace di trovare il suo spazio in una quotidianità che non riconosce più come sua. Non solo: non riconosce più la sua posizione nella sua casa, come moglie di Gavin, un marito che la adora e che fino a qualche mese prima era la luce dei suoi occhi.

La prigionia e le torture l’hanno cambiata, l’hanno irrimediabilmente legata a un altro prigioniero, Briggs.

Più che amore, si tratta di un legame viscerale instaurato con una persona durante settimane in cui le loro vite si sono incatenate salvandosi l’una con l’altra. Questo legame fortissimo che l’ha tenuta in vita per mesi, è diventato fondamentale per lei anche una volta libera.

Per questo motivo la donna che torna a casa non è più la stessa che era partita, e non riesce più a incastrarsi nella vita di prima. Gli unici modi per uscirne sono soccombere, lasciarsi andare (un senzatetto su tre negli Stati Uniti è un veterano), togliersi dalla scena (come fanno, ci ricordano le autrici, 20 reduci al giorno) oppure smetterla di voler recuperare il passato e far conciliare le cose che per Katy sono diventate necessarie nel presente.

«Non sono a casa perché, quando sono tornata, la sentivo come niente di più che una struttura di cemento. Come una vita appartenuta a qualcun altro, e non importa quanto ci provi, non riesco a farne una giusta. Sono come il pezzo d’angolo di un puzzle che cerca d’infilarsi nel centro, e non importa quanto modifichi me stessa, non m’incastro e basta.» Studio il suo sguardo, deglutendo a fatica. «Non è più il mio posto. Non sono lei, la donna che è partita.»
Scrolla le spalle. «Forse non sarai la stessa, ma va bene così.»
«Dici? Nessun altro sembra pensarla in questo modo.» (Tratto dal libro)

 Trovo che la tematica del rientro dei veterani, del PTSD e di tutta la psicologia collegata alle loro difficoltà di riadattamento sia stata esplorata molto bene, con la giusta dose di gradualità negli sviluppi e nei passaggi importanti, così come nella delicatezza del mostrare che niente è scontato o facile.

Trovo anche ben germogliato il legame sentimentale viscerale sviluppato tra commilitoni che hanno vissuto lo stesso episodio drammaticamente intenso (anche se non ho amato come è stato gettato il seme, se vogliamo usare la stessa metafora).

Non ho amato altri aspetti che ho citato in precedenza: il fatto che Katy si sia mostrata propensa a tradire il marito ben prima di sviluppare un attaccamento sotto stress con Briggs, e che sia stata incapace di accettare e comprendere le sue emozioni per così lungo tempo, di mostrarsi sincera nei confronti di un marito praticamente perfetto, e incapace di fare… la scelta meno egoista.

«Potrei bruciare all’inferno per questo, ma non posso controllare ciò che sento. Ci viene data un’unica occasione nella vita, e non m’importa quanto fa male, sono felice di aver colto la mia. C’è una ragione se ci hanno messi insieme in quel bunker. Devo crederlo. Eri destinata a far parte della mia vita. Mi hai cambiato. Non importa dove ci porterà questo viaggio, quando chiuderò gli occhi, sarà il tuo viso che vedrò. Quando esalerò l’ultimo respiro, il tuo nome sarà sulle mie labbra. (Tratto dal libro)

 

 

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