Recensione:”Miss Pride” (NY Sinners Series Vol. 3) di Charlotte Lays
Miss Pride, Luise, Louisy, Anchovina… Tanti nomi quante le maschere da indossare per una sola donna, una sola anima nascosta e impenetrabile.
Impossibile raggiungerla, inevitabile perderla.
Perché per lei legarsi a qualcuno è impensabile: l’arto fantasma che è il suo cuore si ribella. Le Cosmo Girls sono le uniche a conoscere il suo segreto, ma è un solo uomo quello in grado di scalfire la sua corazza. Distante, ormai, lontano. Leone vive addirittura in un altro continente e la odia. Ed è giusto così.
Quando i suoi zii muoiono, tuttavia, Luise è costretta a fare ritorno a Santomotto, un piccolo borgo in Toscana. È straziante per lei il pensiero di non aver potuto salutare un’ultima volta le persone che di fatto hanno sempre sostituito i suoi genitori, ma non è solo per questo che il viaggio verso l’Italia la spezza.
Assieme alle lacrime, infatti, arrivano i pensieri, i ricordi, un’infanzia dimenticata, un’adolescenza cancellata a forza.
Leone, il suo primo e unico amore, ora non è più lo spettro che vive tra le rovine del suo cuore. È reale, bellissimo e intoccabile. E furioso. Perché lei lo ha lasciato, abbandonato, deriso, gettandolo in una spirale di menzogne.
Ragione e sentimento, orgoglio e pregiudizio: quanti assalti può sopportare un cuore prima di cedere e dichiarare la resa incondizionata?
«Suvvia, come se non esistessimo, no?» sbuffo annoiata.
«No.»
No?
«Io ho smesso di esistere per te, forse. Ma tu per me sei stata come un punteruolo rosso dentro una cazzo di palma.»
Ho il pollice verde di Morticia, ma non credo sia un complimento.
«Sono abituata a Shakespeare o Puccini. A cosa mi hai appena paragonata, scusa?»
«A un coleottero mortale.»
Questo terzo romanzo della serie non mi ha convinta completamente nella scusante narrativa utilizzata per mantenere lontani i due protagonisti. Per quanto caratterizzati ottimamente, e per quanto giustificati i risvolti psicologici della vergogna di Luise e dell’orgoglio di Leone, ho faticato a credere che queste sensazioni possano essere state così vivide e insormontabili da mantenerli lontani per oltre 400 pagine. Questo non toglie nulla alla qualità del romanzo e alla ricchezza dello stile.
Con un cambio di ambientazione totale rispetto ai precedenti, troviamo Luise nel luogo in cui ha passato l’infanzia, in Toscana, circondata da persone che la odiano. Nessuna amica a confortarla e a spalleggiarla. Luise è completamente sola a pagare per tutte le scelte sbagliate del passato.
Credo sia una storia che, forse, possa essere compresa fino in fondo solo da chi ha sperimentato sulla propria pelle l’impossibilità di muoversi a causa della mancanza di coraggio e dell’eccessivo orgoglio. Ho trovato difficile, nella seconda metà del libro, accettare che ci siano motivi così radicati da impedire a una persona di fare un primo passo o di abbandonarsi in modo così cocciuto a quella che è, senza ombra di dubbio, la potenza dell’amore. Motivi che costringono a continuare a scappare, nonostante non ci sia più alcun motivo, e nonostante sia evidente un legame magnetico e intramontabile tra due persone.
Ho compreso la vergogna di Luise per gli errori compiuti, l’incapacità di perdonare sé stessa, il rimorso, tuttavia non sono riuscita a scusare che ripetesse gli atteggiamenti sbagliati e che continuasse ad allontanare Leone, punendo lui insieme a sé stessa, rifiutando di concedere a entrambi una seconda opportunità.
La storia che ne esce è ricca di rimpianti, molto sofferta, faticosa, in cui il tempo perso fa gridare per la frustrazione. Uno stile raffinato e ironico caratterizza questa autrice, un connubio tra passione e personalità potenti e ben delineate; di personaggi che bucano la pagina, attrazione passionale e forti contrasti emotivi.
Anche in questo terzo episodio ritroviamo un conflitto genitoriale che ha plasmato il carattere della protagonista e che ne ha influenzato il presente, le emozioni e le relazioni.
La sensazione più grande che mi ha lasciato la storia è l’estrema solitudine che Luise vive. Luise l’attrice, talmente abituata a una maschera da indossarla anche giù dal palco, tanto da non riuscire più neppure a riconoscere la vera sé stessa, ad accettarla e quindi a esprimerla.
Luise si ritrova con l’unica persona che la capisce da quando si era sbucciata un ginocchio a sette anni, e il suo odio, che lei stessa ha causato quando ha dovuto compiere una scelta troppo difficile per la sua età, la tortura in un concentrato di rimorso e rimpianto. Aver abbandonato Leone è stato il più grande errore della sua vita, e in nessun modo pensa di poter chiedere perdono.
È una storia romantica, sofferta, nostalgica, carica del dolore della solitudine. Il tema centrale è, da un lato, questa incapacità di superare i propri limiti, i propri sensi di colpa, di darsi valore, mentre dall’altro l’incapacità di perdonare, nonostante sia evidente che a distanza di dieci anni il desiderio, l’amicizia e la complicità non sono mai morte.
«La natura non è complicata» riprende «e le trasformazioni della natura sono veloci e inesorabili. Anche se si ama il verde rigoglio dell’estate, si sa che prima o poi arriverà il freddo vento di tramontana a spazzare via le foglie dai rami.» Si passa le dita nei capelli per riportarli indietro. «Per gli uomini è tutto dannatamente complicato perché, a differenza della natura, le trasformazioni hanno delle conseguenze. E tu mi hai fatto capire che a volte, di noi, non rimane altro che un mucchio di foglie ai margini della strada, e non ci sarà nessun vento abbastanza forte da spazzare via le macerie del tuo cuore.»