Review party e recensione: “Tracce profonde lungo il fiume” (The Orphanage #5) di Ornella De Luca
Aveva fischiato a me?
«Ti sembro un cane?».
«In realtà, sì. Che cazzo stai cercando? Fiuti per terra l’orgoglio perduto?».
È il capitolo conclusivo della saga The Orphanage. Non ho letto tutti i libri precedenti (penso di recuperarli), ma sono certa che, dopo aver approfondito la conoscenza di Igor, qualsiasi altro fratello orfano non potrà che essere un surrogato sbiadito confrontato al suo carisma.
Igor è un orso dal cuore d’oro, grezzo come un bovaro, selvatico, spontaneo e scherzoso. Pieno di difetti, ma anche di vita, trasparente, vivido.
Marlena, d’altro canto, è una ragazza anticonformista ed eccentrica, ma provata da una brutta esperienza e spenta da troppo tempo.
Dopo aver letto di due personaggi così unici, veraci e, diciamola tutta, umani e reali (chi non ha mai conosciuto un ragazzo che si pulisce il naso sulla manica?), è impossibile tornare senza smorfie a personaggi banali e perfettini, come la donna griffata e bellissima o il tenerone che cerca un bacio romantico sotto al vischio.
La trama di fondo si basa su una sorta di caccia al tesoro (non entro nei dettagli per non svelare troppo) che Igor e Marlena intraprendono insieme, nel tentativo di salvare il posto di lavoro di lei. Questo viaggio li aiuta a passare dallo stato di sconosciuti che si schifano a quello di amici. E Igor prende molto seriamente questo nuovo ruolo, dato che per lui, orfano e senza nessuno al mondo, l’amicizia è una cosa sacra, allo stesso livello dei legami parentali. Più precisamente, il ruolo che gli viene meglio è quello del fratellone.
Igor adora stare nella sua zona grigia (fuori dai problemi, fuori dai coinvolgimenti), ma quando incontra Marlena non può fare a meno di farla entrare nella sua sfera e di sviluppare quella sorta di legame protettivo che per lui è espressione di amicizia. Un legame totale, fatto di amore incondizionato, di accettazione senza giudizio, di consigli fuori dai denti, di frasi schiette, confidenziali e pungenti, di saper leggere i bisogni dell’altro anche senza bisogno di parole.
La trama ha un ritmo incalzante: si tratta di un giallo con un pizzico di fantasia. La soluzione, che non voglio spoilerare, è molto particolare. Per quanto surreale, l’ho trovata perfetta per questi due personaggi fuori dai canoni.
È a suo modo una storia dolce, per quanto i due protagonisti siano quanto di più opposto alla dolcezza. Non c’è praticamente intimità (non è neppure chiaro se, oltre alle carezze, ci sia effettivamente stato anche del sesso tra di loro, a causa di un linguaggio così onirico da rendere annebbiati i loro incontri sotto le lenzuola o meglio, dentro al sacco a pelo), eppure è una storia tenera nei ricordi, nell’intimità dei rispettivi bisogni: le paure di lei vengono pacate dal contatto con una persona protettiva, grande e forte come un orso; la solitudine e il senso di colpa di lui hanno bisogno di risolvere il nodo con i fantasmi del passato, di sentirsi amato, cercato e non essere abbandonato per l’ennesima volta da qualcuno che per lui rappresenta la “famiglia”.
L’aspetto che ho amato di più in assoluto del romanzo, come si sarà capito, sono i protagonisti fortemente imperfetti e, forse per questo, del tutto azzeccati. Pur essendo eccentrici, hanno quella sfumatura divertente e leggera che li rende attraenti, riuscendo allo stesso tempo a nascondere anche una vena filosofica e di spessore.
Il modo che ha Igor di liquidare le persone fregandosene del “politicamente corretto”, dei perbenismi. I suoi modi rozzi e al naturale, la sua incapacità di mettere filtri tra ciò che pensa e ciò che dice e fa, ma allo stesso tempo l’estrema lealtà e fedeltà per le persone che ammette nella sua sfera. Il suo fare battutine acide senza assecondare il vittimismo di Marlena, senza girare attorno a discorsi scabrosi come quello della zoppia, la schiettezza che rasenta l’essere sgarbati: tutto questo costringe Marlena a reagire, la stuzzica a non sedersi sulla pietà degli altri o sull’utopia di essere invisibile, la costringe ad affrontare i fatti per quello che sono e ad accettarli, così come lui ha già fatto.
Lo stile dell’autrice lo adoro da sempre, molto scorrevole, capace e poetico, ma, grazie alla particolare indole di Igor, questo libro in particolare è anche ironico, scanzonato e vivo. Peccato, insomma, solo per la mancanza di qualche sfumatura di rosso.
«Cammini in punta di piedi per non dare fastidio a nessuno. Neppure ai fantasmi che ti porti dietro. Quando avresti l’opportunità di lasciare segni, impronte, tracce profonde. Se devi dare spettacolo su questa Terra, fallo come si deve!».
«Parli di realizzare progetti? Avere dei propositi? Una volta, da ragazzina, avevo scritto una lista e…».
«Parlo di fare il cazzo che ti pare. Quello che ti rende felice».